Da chi o che cosa è rappresentato il cuore del suo libro? Il cuore del libro è nel suo messaggio. Ogni bambino non è soltanto un piccolo essere umano, sotto-uomo o sotto-donna, ma qualcuno che nasconde e rivela in sé il segreto della creazione, quel tocco di Dio che noi, adulti, abbiamo quasi perso. Nel mio libro precedente “Rivelami il tuo Volto” (Effatà, 2010), il bambino chiede ai genitori: “Dov’ero quando non ero ancora con voi?” Questa domanda, che sembra così ingenua, porta in sé un’intuizione profondissima: il nostro essere non viene dal nulla, ma da un Altro, da un Padre senza nome che ha deciso di farci sorgere in questo mondo, di darci la vita. Ci sono i versi stupendi del Salmo 139 in cui Davide con una visione geniale scopre la propria creazione nel grembo materno. “Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hi tessuto nel seno di mia madre…”. E questo Tu-Amore non è ancora spento nella memoria di un piccolo. Il suo essere è portato, è rivolto a Lui. La gratitudine per questo dono è la radice più profonda della fede. “Ti lodo, perché mi hai fatto come prodigio; sono stupende le tue opere”. Con poca modestia, direi che il mio libro cerca di seguire queste tracce: scoprire o, piuttosto, sentire la mano di Dio nella memoria del bambino, nella nostra esperienza pre-razionale, accumulata nella prima infanzia. Proprio di questa conversione (“Se non vi convertirete e non diventerete come bambini… Mt 18, 3) ci parla Gesù.
Il percorso del suo libro si compone così in un cerchio: da una buona notizia sull’infanzia ad un’altra.
Questo testo non è un trattato. Esso è composto da piccoli frammenti, ogni frammento è un raccontino con un suo proprio soggetto, con una sua intuizione. Ogni intuizione si aggancia ad un’altra e così via… Dal mosaico di questi pezzi si costruisce il tutto. Dopo aver fatto il giro intorno alle parole del Vangelo, torniamo all’inizio: “Se non diventerete come bambini…”
“Soffermiamoci su questa frase…”
Mi colpisce l’insistenza con cui Gesù ripete questo comandamento. Almeno nei tre vangeli sinottici sentiamo la Sua voce che dice più o meno una cosa simile, in cui possiamo distinguere due temi principali. Diventare come bambini ed accogliere i piccoli. Diventare non vuol dire essere semplicemente buono, ubbidiente, simpatico, ma cambiare se stesso. Cambiare con lo sforzo, con il sacrificio del proprio ego concentrato su se stesso. Liberarsi, anche con la preghiera e la disciplina ascetica, dall’eredità del peccato. Accogliere il bambino è un’altra cosa, questo dovrebbe essere il fondamento della nostra morale pubblica e personale. Non soltanto nei confronti del piccolo. Siamo chiamati ad accogliere il bambino in noi stessi.
Lei scrive: “Convertirsi, diventare come bambini significa imparare a comunicare con Dio: la fede è esattamente questo”. Non è troppo riduttivo?
Al contrario. La fede è la comunione nel senso più essenziale, più profondo del termine. A partire da questa comunione possiamo pensare, sentire, agire, credere. Diciamo: credo in un solo Dio, ma cosa significano queste parole, se non entriamo nel mistero di Dio nel nostro cuore, se non viviamo questo mistero come amore nel nostro cuore?
“Lasciate che i bambini vengano a me… perché a chi è come loro appartiene il regno d Dio” anche questa è una frase delle Sacre Scritture densa di significato. Vuol darne una spiegazione?
Cosa sappiamo del Regno di Dio? “Queste cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano”: dice san Paolo (1 Cor2, 9). Abbiamo, forse, certi presentimenti, alcuni doni, rari momenti di beatitudine. Ma il deposito di questi doni, momenti, illuminazioni si trova nella prima infanzia. Penso, per esempio, che l’arte più autentica riproduca la memoria deposta nel bambino. Il bambino conserva la semplicità e la grazia del rapporto con il creato che si manifesta nella santità.
Lo stupore, l’adulto è capace di stupirsi, o è un sentimento che appartiene solo ai piccoli? Certo che gli adulti possono stupirsi. Il vero stupore, però, non è un sentimento passeggero, ma uno stato dell’anima. Chi lo possiede davvero? Solo il piccolo, solo il santo.
Cosa gli adulti dovrebbero imparare dai più piccoli?
Non molto, a dire la verità. Tornare allo stato di bambino, per noi, adulti, come siamo adesso, è un’utopia. Diventare come bambini, per Cristo è un compito spirituale. Siamo chiamati a diventare noi stessi. Ad imparare dai santi a diventare bambini in Gesù. Come, per esempio, Padre Pio o il nostro santo Serafino di Sarov.