Il messaggio di Benedetto XVI per la 95° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato dal tema “San Paolo migrante, Apostolo delle genti
”, che si celebra il 18 gennaio prossimo, è un nuovo inno alla carità cristiana basato sulla vita e la spiritualità di San Paolo. Ne abbiamo parlato con padre Arcangelo Maira, missionario scalabriniano e Direttore della “Migrantes” della Diocesi di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo.
Il Pontefice trae spunto dalla figura ricca e complessa di San Paolo per sottolineare che l’Apostolo delle genti fu anzitutto missionario, nel senso che si fece migrante per vocazione, autentico missionario dei migranti!
Esatto! Cade proprio a pennello, nell’anno Paolino, riflettere sui migranti e rifugiati prendendo come punto di riferimento l’esperienza diretta di San Paolo. Il messaggio del Pontefice mette in risalto proprio la sua esperienza di vita. Paolo apparteneva ad una famiglia ebrea emigrata a Tarso nella Cilicia, oggi situata nella Turchia meridionale presso i confini con la Siria, città che nel I secolo era un luogo cosmopolita, dove vivevano greci, anatolici, ellenizzati, romani e una colonia giudaica, a cui apparteneva il padre commerciante di tende, il quale con la sua famiglia, come tutti gli abitanti, godeva della cittadinanza romana.Come molti degli ebrei di quel tempo, portava due nomi, uno ebraico Saul, che significava “implorato a Dio” e l’altro latino o greco che era Paulus, probabilmente alludeva alla sua bassa statura; Paulus divenne poi il suo unico nome, quando cominciò la sua predicazione in Occidente. Conosceva la cultura ellenistica e a Tarso imparò il greco, ma la sua educazione era fondamentalmente giudaica, il suo ragionamento e la sua esegesi biblica, avevano l’impronta della scuola rabbinica. Lo zelo missionario lo contraddistinse nel suo cammino di cristiano perché Paolo si faceva vanto di annunciare il Vangelo là dove nessuno l’aveva fatto prima di lui, rendendosi in ciò particolarmente vicino alla Chiesa costituita dai migranti, senza tuttavia portare danno al profondo legame di comunione e di solidarietà con la Chiesa madre di Gerusalemme.
Questo clima di chiusura da parte del mondo occidentale rende ancora più triste e amara la vicenda umana di molti immigrati, spingendoli altresì a condizioni di irregolarità, violenza, tratta degli esseri umani…
Già in passato si parlava di schiavi usati come merce di scambio. Ancora oggi esiste ma con caratteristiche nuove. Abbiamo, purtroppo, la tratta delle donne da avviare alla prostituzione, di bambini usati e venduti per il trapianto di organi…Immigrati stessi, che pur di far soldi facili, diventano trafficanti di immigrati e, solo dopo aver ricevuto una buona ricompensa economica, li sbarcano da una riva all’altra del mediterraneo. A vivere il cosiddetto “viaggio della speranza” sono spesso ragazzi, donne, bambini…..
Tra le proposte presentate da Benedetto XVI figura in primo luogo la necessità di partire dalla “cultura dell’accoglienza”, per poter creare un sincero dialogo e una vera solidarietà…
Il Papa ci invita a rinnovarci come comunità e ad essere più accoglienti e impegnarci per un mondo più giusto e di pace. Il nostro mondo diventa sempre più che mai multiculturale e dobbiamo rinnovarci nel nostro essere accoglienti verso chiunque. Così come Paolo ha saputo rivolgersi e dialogare con i greci, i palestinesi, romani, etc.. Ricordiamoci che anche Paolo, nei suoi viaggi apostolici, ha trovato tante resistenze negative. E’ stato mandato via dalle piazze, cacciato dalle sinagoghe… E’ interessante capire come il messaggio cristiano sia arrivato a noi attraverso degli immigrati.
La solidarietà deriva dalla constatazione che formiamo tutti una sola famiglia umana, al di là delle differenze di nazionalità, razza, etnia, religione, situazione economica e atteggiamento ideologico…
La scorsa estate, visitando i tanti immigrati che si concentrano nei campi di lavoro per la raccolta di pomodori, mi ha colpito la testimonianza di un giovane rifugiato il quale custodiva gelosamente, in una piccola valigetta, una Bibbia. Allora mi sono chiesto: “….ha affrontato il viaggio della speranza tra mille difficoltà, sacrifici e paure eppure non ha dimenticato di portare con se lo “strumento” che da forza e speranza a ogni cristiano…” Noi invece non abbiamo la cultura del metterci all’ascolto della Parola di Dio o di portare con noi la Bibbia. Magari partiamo con le nostre valigie strapiene di cose …. A volte anche superflue e inutili… ma ci dimentichiamo di portare lo “strumento” principale della nostra fede: la Parola di Dio. Gli immigrati hanno molto da insegnarci anche a livello spirituale. La loro esperienza di Chiesa è molto ricca. Dalla loro esperienza abbiamo molto da imparare e ricordiamoci che l’accoglienza nasce dall’ascolto. Dobbiamo imparare ad accogliere seriamente la persona che arriva da un altro Paese, e con cultura diversa, come un valore e non soltanto come qualcuno “che ruba ciò che è nostro”. Gli immigrati sono persone che portano con se una profonda ricchezza, una grande spiritualità e dei profondi valori. Gli immigrati sono persone per le quali Gesù Cristo è morto e quindi meritano lo stesso amore, la stessa attenzione, la stessa carità, la stessa fratellanza…
Anche quest’anno, dunque, il Messaggio del Santo Padre ci sprona a comprendere che la pratica della carità fraterna costituisce il culmine di ogni cristiano. Un messaggio conclusivo da parte tua che hai scelto di essere missionario scalabriniano…
Intanto di non aver paura di incontrare queste persone … Gli immigrati sono così desiderose di incontrare gli italiani, raccontare la loro esperienza. E’ importante lasciarli esprimere. Raccontare la propria esperienza… fatta di sacrifici, delusioni, paure, amarezze, solitudine… significa dargli la possibilità di parlare direttamente al nostro cuore. Nessuno è straniero nella Chiesa e ciò significa che anche gli immigrati hanno il diritto di condividere con noi il Regno di Dio