Intervista a S.E. Mons. Domenico D’Ambrosio in occasione dell’annuncio della nomina a arcivescovo della diocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo e delegato pontificio per le opere di Padre Pio (cattedrale di Manfredonia, sabato 8 marzo 2003).
Dopo alcuni anni di attività pastorale lontano dalla terra natia, finalmente di nuovo sul Gargano e soprattutto a San Giovanni Rotondo. Se lo aspettava?
Assolutamente no. Già era tanto essere arrivato a Foggia. Era la prima volta che un arcivescovo di Foggia era uno della provincia di Foggia. Adesso addirittura il Signore si è divertito… Ma io amo ripetere: lo zampino di Padre Pio mi ha riportato nel luogo dove ho vissuto la più bella stagione sacerdotale: 19 anni parroco a San Giovanni Rotondo. Sono tanti di quei segni, tante di quelle coincidenze… Non posso, pur nella sofferenza della diocesi che lascio, non dire tutta la mia gioia nel sapere che un parroco di San Giovanni Rotondo diventa il primo vescovo della nuova circoscrizione ecclesiastica di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo. Padre Pio metterà le sue mani sulla mia testa… L’ha fatto altre volte. Adesso lo farà con più forza.
Lei ha dichiarato in diverse occasioni di voler dar voce a chi non ha voce. Tale proposito è valido anche per questo nuovo incarico?
Ci mancherebbe. Il vescovo è proprio colui che diventa voce dei tanti: poveri, emarginati, isolati, non considerati. Il vescovo è il segno della paternità di Dio e Dio è un padre che va alla ricerca dei figli che sono fuori dall’ovile. Io devo essere questa immagine e quindi le preferenze vanno per i poveri, quelli che il Vangelo chiama “i pezzenti”.
E’ la prima volta che un arcivescovo di Manfredonia ricopre anche l’incarico di delegato pontificio per le opere di Padre Pio. Come concilierà queste due funzioni?
Il Signore mi aiuterà. Infatti, durante l’annunzio ho fatto leggere un brano del Libro della Sapienza, la preghiera di Salomone: “Dammi la Sapienza, che siede in trono accanto a te”. Il Signore mi aiuterà. Certo, concilierò. Io sono innanzitutto pastore, vescovo. Questo è il mio titolo bello a cui non rinunzio. L’obbedienza al Papa mi chiede anche di essere colui che prende in mano l’eredità di Padre Pio. Non solo l’eredità materiale… Certo c’è tutto il complesso di opere… Ma l’eredità spirituale… Si pensi alla sterminata massa di Gruppi di Preghiera. Credo che dovranno diventare il segno, la sfida da lanciare a questo mondo che ha sete di Dio e non riesce trovarlo. Credo che sarà questo uno dei campi su cui, con l’aiuto del Signore e l’intercessione di Padre Pio, misurerò il mio amore a questa Chiesa, l’obbedienza all’incarico delicato che il Santo Padre mi ha affidato, riponendo fiducia in me. Questo mi spaventa… ma i Santi mi aiuteranno.
A quali principi ispirerà la complessa gestione dell’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”?
Questa non è una domanda da fare a un vescovo, a un delegato della Santa Sede. Bisognerebbe farla a un manager. Non lo sono.
Non si sente manager?
Ma neanche per sogno. Sarò vescovo… chiaramente attivando tutte quelle necessarie competenze e preparazioni che mi aiutino a far sì che sia veramente come Padre Pio l’ha pensata: Casa Sollievo della Sofferenza.