Il ritratto di un Papa che lo stimò e lo difese
La famiglia Montini
Giovanni Battista nasce nella villa di campagna della famiglia Montini, a Concesio, in provincia di Brescia, il 26 settembre 1897, dieci anni dopo Padre Pio. Suo padre, Giorgio, è un avvocato con la passione per la politica, che esprime anche con un’intensa attività editoriale e pubblicistica. È uno dei pionieri della rinascita dell’impegno cattolico nell’azione sociale, dopo la frattura che si è consumata con la breccia di Porta Pia. Sua madre, Giuditta, appartiene alla nobile famiglia dei conti Alghisi. È una donna colta, conosce le lingue, sa suonare, dipingere e collabora con le attività del marito.
Prima di Giovanni Battista era nato Ludovico, destinato a seguire, negli studi e nell’attività, le orme paterne. Dopo sarebbe nato Francesco, futuro medico.
don Giovanni Battista Montini
Dopo aver studiato dai Gesuiti, a vent’anni, tardi per quei tempi, il secondogenito dei Montini matura la consapevolezza della vocazione. Entra in seminario e brucia le tappe. A 23 anni non ancora compiuti viene ordinato sacerdote dal vescovo di Brescia, mons. Giacinto Gaggia, dopo aver ottenuto l’apposita dispensa per non aver ancora raggiunto l’età canonica. Ama lo studio, tanto da ottenere sempre brillanti risultati, nonostante un fisico gracile e una salute debole spesso lo tengono lontano dalle aule e lo costringono a studiare da privatista.
Un impiego in vaticano
Per questo il suo vescovo invia don Giovanni Battista a Roma, per continuare gli studi alla Gregoriana, dove si sarebbe laureato in diritto canonico e in teologia. Ma, nel frattempo, qualcuno nota le doti del giovane prete bresciano. Gli consigliano di iscriversi all’Accademia dei nobili ecclesiastici, dove insegna mons. Giuseppe Pizzardo che, contemporaneamente, è anche sostituto per gli Affari straordinari della Segreteria di Stato. L’autorevole prelato coglie le grandi qualità del discepolo e gli procura un impiego alle sue dipendenze in Vaticano. Don Giovanni Battista ha solo 24 anni. Anche il Segretario di Stato, card. Pietro Gasparri, stima molto Montini, nonostante le idee politiche dei due non sono proprio coincidenti. Dopo avergli fatto fare un approfondimento degli studi a Parigi, il Porporato lo avvia alla carriera diplomatica, inviandolo a Varsavia come assistente alla Nunziatura.
Assistente ecclesiastico della FUCI
Il clima freddo della Polonia non giova alla salute del promettente sacerdote, che è costretto a tornare a Roma un anno dopo la partenza. Montini torna in Segreteria di Stato, ma con dentro un mal celabile desiderio di essere «pastore di anime». Mons. Pizzardo trova una soluzione di compromesso e lo nomina contemporaneamente assistente ecclesiastico della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) di Roma. Pochi mesi dopo il Papa in persona gli conferisce l’incarico di assistente nazionale. Ha, così, l’occasione di conoscere e guidare studenti che si chiamano Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti, Paolo Emilio Taviani, Guido Carli, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira.
Forse risale già a questo periodo il primo approccio al “caso” Padre Pio, che negli anni Venti e Trenta interessò diversi dicasteri della Santa Sede.
Sostituto per gli Affari ordinari
Gli incarichi in Segreteria di Stato diventano più importanti a partire dal 1933 e lo costringono a lasciare la FUCI. Il nuovo segretario di Stato, il card. Eugenio Pacelli, nel 1937 vuole mons. Montini tra i suoi più stretti collaboratori. Diviene sostituto per gli Affari ordinari, mentre un monsignore romano, Domenico Tardini, si occupa degli Affari straordinari. Molto probabilmente è proprio Pacelli, che aveva ereditato stima e ammirazione per Padre Pio dal precedente Segretario di Stato card. Pietro Gasparri, a far maturare nel giovane monsignore bresciano una conoscenza positiva del Cappuccino stigmatizzato che viveva sul Gargano.
Pro-segretario di Stato
Quando il Cardinale Segretario di Stato esce Papa dal conclave del 1939 conferma l’incarico ai due monsignori. Ma le loro responsabilità aumentano nel 1944, quando muore il nuovo segretario di Stato, card. Luigi Maglione. Pio XII non ne nomina un altro. E solo nel 1952 riconosce a Montini e Tardini il fardello delle loro responsabilità, nominandoli pro-segretari di Stato, lasciando a ciascuno la propria area di competenza ma lasciando entrambi semplici monsignori. Anche dopo il Concistoro del 1953.
Arcivescovo di Milano
Il legame con Pio XII si spezza, all’improvviso, nel 1954. Il Papa manda Montini a Milano. Lo nomina arcivescovo, ma lo allontana da sé. Sui motivi, solo voci. La più diffusa riguarda il diverso orientamento sulla politica italiana. Non è Pio XII a consacrarlo vescovo. Ad invocare lo Spirito Santo sul suo capo è il decano del Collegio cardinalizio, Eugenio Tisserant. Il Papa è malato e non può scendere in Basilica. Tuttavia fa giungere la sua voce e la sua benedizione in San Pietro attraverso un collegamento radiofonico.
Cardinale Giovanni Montini
È il traguardo di un anelito pastorale a lungo represso. È la tappa che il disegno di Dio aveva pensato per preparare il pro-segretario di Stato a pascere il gregge universale della Chiesa cattolica. Non dopo la morte di Pio XII, perché nel conclave del 1958 l’Arcivescovo di Milano non è ancora stato insignito della porpora che, invece, gli viene concessa dal neo eletto Giovanni XXIII.
Il rapporto con Padre Pio
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Casa Sollievo della Sofferenza
Una delle ultime incombenze affidate al monsignore bresciano in Vaticano prima della sua promozione è la sistemazione giuridica di Casa Sollievo della Sofferenza. È lui, infatti, che legge e approva lo statuto della congregazione del Terz’Ordine francescano, di cui il Frate è direttore.
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I Gruppi di Preghiera
Anche da Milano il novello Arcivescovo continua a seguire con apprezzamento e con interesse l’attività di Padre Pio. Due anni dopo l’inizio del suo ministero pastorale, durante una riunione con il clero diocesano, evidenzia l’opportunità di divulgare e potenziare i Gruppi di Preghiera.
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La Missione di Padre Pio
All’inizio degli anni Sessanta, dopo la visita apostolica di mons. Maccari, quando si diffonde nuovamente la voce di un imminente trasferimento del Cappuccino stigmatizzato da San Giovanni Rotondo in un luogo isolato, il card. Montini commenta: «Se Padre Pio lascia San Giovanni Rotondo, sono disposto a prenderlo a Milano e sono certo che una sua Messa vale una missione».
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Una lettera nel Cinquantesimo dell’Ordinazione Sacerdotale
Certamente il Cardinale lombardo ha sempre temuto di andare contro coscienza più che contro corrente. E il suo atteggiamento nei confronti di Padre Pio non fa eccezione. Il 20 giugno 1960 non esita a mettere nero su bianco la sua ammirazione per il primo Sacerdote stigmatizzato della storia della Chiesa in una lettera a lui indirizzata in vista del cinquantesimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale: «Oso pertanto anch’io esprimerLe nel Signore, le mie felicitazioni per le grazie immense a Lei conferite e da Lei dispensate… Esprimo insieme il voto che Cristo Signore abbia a vivere ed a manifestarsi nella persona e nel ministero della Paternità Vostra».
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Sarà Montini!
Dopo la morte di Giovanni XXIII il card. Montini parte per Roma lasciando in sospeso alcuni impegni in diocesi, da assolvere al suo ritorno. Tutti sono convinti che sarà lui il nuovo Papa. Tutti, tranne lui. Tutti, compreso Padre Pio che, evidentemente, sapeva ciò che Dio gli faceva conoscere. Durante il conclave, fr. Eusebio Notte, che in quel periodo era assistente personale dell’anziano Cappuccino stigmatizzato, è curioso di sapere chi sarà il nuovo Ponterfice e tormentava il Confratello con le sue continue domande finché, sfinito, Padre Pio esclama: «Ma sarà Montini!…». E subito aggiunge: «Beh, m’è scappato mò!».
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Padre Pio torna in piena libertà
La previsione si avvera il 21 giugno 1963. Pochi mesi dopo, il 30 gennaio 1964, il card. Ottaviani convoca al Sant’Uffizio l’amministratore apostolico della Provincia religiosa del Cappuccini di Foggia per comunicargli la «volontà esplicita del Santo Padre che Padre Pio svolga il suo ministero in piena libertà». Decadevano, così, tutte le limitazioni imposte dopo la visita apostolica di mons. Carlo Maccari. L’anno successivo Paolo VI, sempre attraverso il card. Ottaviani, scioglie di fatto il Cappuccino stigmatizzato dal voto di obbedienza.
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L’ultima lettera di Padre Pio
Padre Pio ricambia lo stesso affetto e uguale stima. Pochi mesi dopo la promulgazione dell’enciclica Humanae Vitae, non apprezzata in tutti gli ambienti cattolici, per confortare e lenire il dolore del Santo Padre, il 12 settembre 1968 gli scrive una lettera per ringraziarlo, anche a nome dei suoi figli spirituali e dei “Gruppi di Preghiera” «per la parola chiara e decisa che avete detto, specie nell’ultima enciclica Humanae Vitae» e per riaffermare «la mia fede, la mia incondizionata obbedienza alle vostre illuminate direttive».
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Il 23 settembre 1968
Paolo VI continua a manifestare la propria ammirazione verso il Cappuccino di Pietrelcina anche dopo la sua morte. Dopo il 23 settembre 1968, attraverso il card. Cicognani, fa pervenire un telegramma di condoglianze a San Giovanni Rotondo. Alcune settimane dopo, in occasione del capitolo generale speciale dell’Ordine dei Cappuccini, il Santo Padre loda gli ideali dei cappuccini, «in gran parte opposti» a quelli di una società che, comunque, da essi si lascia affascinare, come dimostra «la devozione che ha circondato Padre Pio».
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Guardate che fama ha avuto!
Il 20 febbraio 1971, ricevendo in udienza privata i superiori generali cappuccini, il Santo Padre, riferendosi al Cappuccino stigmatizzato, pronuncia la famosa frase: «Guardate che fama ha avuto! Che clientela mondiale ha adunato intorno a sé! Ma perché? Forse perché era un filosofo, perché era un sapiente, perché aveva mezzi a disposizione? Perché diceva la Messa umilmente, confessava dal mattino alla sera ed era, difficile a dire, rappresentante stampato delle stigmate di nostro Signore».
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In udienza dal Papa
Inoltre, nell’udienza ai Gruppi di Preghiera presenti a Roma per Anno Santo, in Piazza San Pietro, il 24 settembre 1975, aggiunge: «Le statistiche parlano di qui presenti ventimila, ventimila partecipanti al Convegno Internazionale dei Gruppi di Preghiera, della Casa Sollievo – eccolo -, dell’Opera di Padre Pio da Pietrelcina. Il quale, fra le tante cose buone e grandi che ha compiuto, ha, diciamo, generato questa schiera, questo fiume di persone che pregano e che, nel suo esempio e nella speranza del suo aiuto spirituale, si dedicano alla vita cristiana e danno testimonianza di comunione nella preghiera, nella carità, nella povertà di spirito e nella energia della professione cristiana. Benediciamo tutti i buoni Gruppi di Preghiera presenti, materialmente e spiritualmente, e salutiamo il Cardinale Nasalli Rocca che li dirige e li accompagna, e certamente li precede con l’esempio e con la parola».
I tanti momenti difficili del suo Pontificato
Probabilmente l’iniezione di fiducia contenuta nella lettera di Padre Pio accompagna Paolo VI nei tanti momenti difficili del suo Pontificato: dalla chiusura del Concilio alla gestione della sua eredità con la diffusione di tendenze teologiche e dottrinarie estreme, dallo svuotamento morale della politica alla contrapposizione violenta dei popoli, dalla crisi del celibato e del sacerdozio all’impopolare ammodernamento di mezzi e di mentalità della Curia vaticana, dalla solitudine intellettuale al dramma personale per il rapimento e l’uccisione dell’«amico» Aldo Moro.
6 agosto 1978
Così stanco, più per le croci portate sulle spalle che per l’età avanzata, ma sereno in coscienza per essersi speso fino in fondo, senza risparmiarsi, per il bene della Chiesa e dell’umanità, alle 21,40 del 6 agosto 1978, nella residenza estiva di Castelgandolfo, Paolo VI termina il suo cammino terreno. Stefano Campanella
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