Siamo nel mese, che la Chiesa ha dedicato, consacrato ai nostri cari defunti: il mese di novembre. Tutti, chi prima, chi poi, ci siamo recati nel camposanto. Per fare che cosa? I) Il grosso, per portare dei fiori, come ringraziamento, II) altri, per pregare per i loro cari defunti, e III) forse, pochissimi, (e chissà se tra questi ci siamo anche noi), per riflettere su che cosa stiamo facendo del dono della nostra vita, dalle cui azioni dipende il nostro destino eterno.
Lo scorso anno ho parlato di p. Pio e il suffragio per le anime del purgatorio. Quest’anno della morte e p. Pio: suo pensiero e atteggiamento. Dell’aldilà, della morte (in ebraico mauet, in greco thànatos, in latino mors), che è negazione della vita terrena, si parla poco e in modo sbagliato. La morte la si presenta, soprattutto, in questi ultimi anni, come una cosa spaventosa, con un taglio decisamente “deterrente”, cioè come una cosa, che incute terrore, timore, paura. Pure se non ci si vuol neppure pensare, essa resta una cosa seria. Infatti, anche i filosofi, teologi, uomini di cultura, poeti, scrittori e i santi hanno fatto aleggiare la morte sulle vicende delle loro opere e testimonianze.
Certamente, essa è anche una cosa spaventosa, tanto che Gesú stesso, a nome nostro, si è rivolto al Padre: “Padre, se è possibile, passi da me questo calice…” (Lc 22, 42). Ha sentito turbamento, davanti alla morte degli altri. Per esempio, presso la bara del figlio della vedova di Naim: “Il Signore sentí compassione” (Lc 7, 13). Addirittura, presso la tomba di Lazzaro, Gesú non solo “si commosse profondamente e si turbò”, ma “scoppiò in lacrime” (Gv 11, 34-35). Gesú, dunque è nemico della morte, come lo siamo anche noi. Egli è nemico della morte, perché essa “è salario del peccato” (Rom 6, 23). È nemico della morte, perché, come dice il libro della Sapienza, è “per invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo” (Sap 2, 24), in quanto ha tentato Adamo, con le conseguenze, che tutti noi conosciamo. E s. Paolo conferma ciò: “A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, col peccato, la morte” (Rom 5, 12). Dio, invece, come dice sempre la Sapienza “non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi” (Sap 1,13). Coraggio, allora: Dio non ci rimprovererà, se di fronte alla morte noi piangiamo e sentiamo paura, terrore, anzi è proprio questa ripugnanza la piú bella manifestazione di quel disegno di vita, cui Dio ci aveva primitivamente destinati: “Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura” (Sap 2, 23). E come poteva essere diversamente se il nostro Dio non solo è il “Dio vivente” (Gios 3, 10; Os 2, 1), ma è anche il “Dio dei viventi”? (Lc 20, 38).
La morte, se cosí si può dire, è “l’anti-Dio”, perciò s. Paolo la chiama “l’ultima nemica” (1 Cor 15, 26). Cristo, però, con la sua morte amorosa e con la sua gloriosa risurrezione, l’ha sconfitta, una volta per sempre. Ora, non è piú castigo, non è piú il nulla, non è piú la distruzione della vita. Ora, invece, è la porta della vita, della vita vera, della vita eterna: quella, appunto, che Cristo, con la sua risurrezione, ha iniziato per sé e per noi tutti. Tuttavia, nel suo aspetto umano, la morte mantiene tutta la sua ripugnanza. Essa è il prezzo, che noi paghiamo, per due motivi: I) come appartenenza alla stirpe peccatrice di Adamo e II) come desiderio di voler vivere sempre. Ciò viene riconfermato anche dal CEV II, nella Costituzione pastorale su “La Chiesa nel mondo contemporaneo”, G. et S., 18. In questo numero si legge che la morte rimane sempre un “pensiero conturbante”, come I) richiamo non solo di un castigo meritato, con le nostre colpe, ma anche II) di una riparazione, dovuta alla solidarietà con i nostri progenitori e con tutti gli uomini. Tuttavia lo stesso numero ci presenta anche l’altra faccia della stessa medaglia, cioè che la morte può diventare “pensiero sereno” o, addirittura, gaudioso, come lo è stato per alcune anime privilegiate, nella luce del Cristo risorto: a) richiamo alla patria che ci aspetta, b) alla gioia, che, in Cristo, ci ricolmerà. Perché sia cosí, è necessario che la morte divenga anche un “pensiero impegnativo”: richiamo alle nostre responsabilità, agli impegni battesimali che ci siamo assunti, alla necessità di “morire con Cristo” (cf Rom 6, 1-23) ogni giorno, per poter vivere con lui per sempre. Allora, riflettiamo sulla frase, esortazione di Giovanni Paolo II, da poco canonizzato: “L’impegno preminente della vita consiste nella preparazione a morire in grazia di Dio”. Come? Superando la visione limitata alla sola sfera naturale e guardando oltre e Altro. Dobbiamo guardare a Cristo, per imitarlo nelle sue virtú, per poter vivere con lui nella felicità eterna. Cosa fare? Ce lo dice s. Paolo: “Distinguetevi in tutto: nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni premura e nell’amore da noi suscitato nei vostri cuori, fate sí di primeggiare anche in quest’opera di carità” (2 Cor 8, 7). Carità intesa anche come elemosina, colletta, come ci fa capire il capitolo nono, di s. Paolo ai corinzi: “Questa premura (= colletta) svela ai santi (erano cosí chiamati i primi cristiani) ciò che voi siete ed essi glorificheranno Dio per l’obbedienza, che voi professate al Vangelo di Cristo, e per la sincera generosità, con cui fate parte dei vostri beni a essi e a tutti” (2 Cor 9, 13-14). Se si vive in questo modo, il pensiero della morte, come diceva la L. G. diventa “sereno, se non, addirittura, gaudioso, cioè gioioso”, come lo è stato per p. Pio.
P. Pio e il pensiero della morte
La morte, ritenuta da s. Paolo “nemica” dell’uomo (1 Cor 15, 26), chiamata “sorella” da s. Francesco (Cantico delle creature) e, da p. Pio, invocata, come “amica” (Ep I, 767), resta sempre un mistero, di fronte al quale, come afferma il CEV II, “l’enigma della condizione umana raggiunge il culmine” (G. et S. 18). S. Francesco la chiama “sorella”, p. Pio “amica”. L’amica è qualcosa in piú della sorella. L’amica è frutto di una scelta reciproca, di una predilezione da ambo le parti, è dono gratuito da parte di tutte le due persone. La sorella, invece, ti viene donata, senza il tuo contributo. Tuttavia, l’atteggiamento di s. Francesco e p. Pio verso la morte è sostanzialmente concorde, in quanto la motivazione di sorella o amica è la stessa: la morte apre l’ingresso alla vita eterna.
Alcuni episodi della vita di p. Pio ci consentono di affermare che egli, già dall’infanzia, era a contatto e conoscenza della morte, per dei decessi, avvenuti nella sua famiglia. Prima della sua nascita: 25 maggio 1887, due suoi fratellini era già morti: 1) Francesco (12 febbraio 1884- 3 marzo 1884); 2) Amalia (20 maggio 1885- 14 febbraio 1887). Dopo la sua nascita: 1) Felicita (15 settembre 1889- 25 settembre 1918); 2) Pellegrina 15 marzo1892- 19 febbraio 1944); 3) Mario (24 marzo 1899- 28 febbraio 1900).
L’idea di morte in p. Pio, a differenza dell’uomo attuale, distratto e inevitabilmente impaurito dalla fine dei suoi giorni, è sempre tesa verso Dio, come un arco, tra la vita terrena e l’eterna, con una soluzione di continuità. P. Pio ha l’idea fissa verso Dio, anche tramite l’amica morte, per vivere in conformità al Cristo, in modo da non temere il passaggio da questa all’altra vita. Questo pensiero viene riconfermato dal beato Giovanni XXIII, che dice: “Per chi ha sempre fisso lo sguardo confidente in Dio, non ci sono sorprese, neppure le sorprese della morte, che è sacra, perché avviamento alla gloria e alla gioia perenne” (AAS, 18 giugno 1963). P. Pio ha visto la morte come offerta totale di sé. Egli, sentendosela vicina, anzi amica, usa espressioni, che sintetizzano la sua profonda spiritualità: “Oramai, grazie al Cielo (con al c maiuscola), la vittima è già salita all’altare degli olocausti e da sé, docilmente, si va distendendo su di esso” (Ep I, 753, a p. Agostino, 27 febbraio 1916. Già, precedentemente, però, p. Pio era pronto al battesimo di sangue, cioè al passaggio da questa alla vera vita. Infatti, scrivendo, il 14 marzo 1910, allora era solo diacono, non ancora sacerdote, al padre spirituale e provinciale, Benedetto Nardella, confida: “Da un pezzo in qua sembrami che nessuna cosa di qua giú abbia piú alcuna attrattiva per me… L’idea della morte sembrami aver tutta la mia attrattiva a assai vicino a raggiungerla” (Ep. I, 180). Egli chiede ai suoi due padri spirituali di pregare per la sua morte. A p Benedetto, il 1° ottobre 1910, scrive: “Dica ancora, padre mio, a Gesú, che mi scarceri presto dai lacci di questo corpo mortale” (Ep. I, 200) E al p. Agostino, il 28 giugno 1912: “Pregate, affinché il Signore si degni di accorciare il mio esilio… e di spiccare il volo, per partire” (Ep. I, 293) E ancora, sempre allo stesso p. Agostino, il 6 maggio 1913: “Desidero la morte solo per unirmi con vincoli indissolubili al celeste Sposo” (Ep. I, 357). Per quali motivi p. Pio desiderava la morte? Sintetizzando il suo pensiero, soprattutto per due motivi: I) paura di commettere il peccato, II) desiderio di unirsi al Signore. Smetterà di chiedere preghiere, per la sua morte, anche a tanti suoi figli spirituali, solo, dopo il gennaio del 1919, quando il suo padre spirituale, Benedetto Nardella, gli dirà chiaramente che la sua vita gli è stata affidata da Dio, per una “grande missione”, per la “vocazione a corredimere”. Infatti, il padre Benedetto Nardella, come saggio padre spirituale, gli scrive, nel gennaio 1919: “So, purtroppo, che vorresti accelerare il momento di dire la frase: «Nelle tue mani affido il mio spirito», ma la tua missione, però, non è ancora compiuta e, piú che assorto in Dio, devi aver sete della salute dei fratelli: Sitio. Anche di lassú può continuarsi l’opera di mediatore; ma io sono persuaso che i santi si interessano delle altrui miserie piú quando sono in terra” (Ep. I, 1116). Da allora, il pensiero della morte è rimasto in p. Pio, come stimolo a migliorarsi giorno per giorno, amando Dio, e a dedicarsi piú intensamente ai fratelli, tramite il suo ministero sacerdotale, come egli stesso confessa, il 20 novembre 1921, a p. Benedetto Nardella: “Sono divorato dall’amore di Dio e dall’amore del prossimo. Dio per me è sempre fisso nella mente e stampato nel cuore” (Ep. I, 1247). Queste due prerogative: amare Dio e il prossimo, lo spingevano a pregare sempre, tanto da esser stato definito: “L’uomo fatto preghiera”. P. Pio pregava sempre: I) Pregava, certamente, con l’amministrazione dei sacramenti, specialmente la messa e la confessione; II) pregava con la recita del breviario, del rosario, di altre forme di preghiere pubbliche, comunitarie e private; III) ma, soprattutto, c’è stata una forma di preghiere, che lo ha messo in uno stato continuo di preghiera, cioè la sua offerta vittimale, con la quale ha attuato la sua vocazione a corredimere, come gli aveva fatto capire chiaramente, il suo padre spirituale, Benedetto Nardella (Ep I, 1068), il 27 agosto 1918.
Lo scopo di questa continua preghiera? Essere sempre in contatto con Dio e offrirsi per il bene spirituale e materiale dei fratelli peregrinanti e, soprattutto, per quelli purganti.
Conclusione
Per il cristiano, la morte significa fare l’esperienza umana del morire con Cristo e come Cristo. L’essere battezzato, infatti, non è solo l’attuazione del morire con Cristo, ma anche del risuscitare con lui (cf Rom 6, 3-11). Purtroppo, però, la morte incute ancora paura ed è, addirittura, ancora piú drammatica, per coloro che non credono, in quanto a essi manca il conforto della fede. La morte, per tutti costoro, e non ne sono pochi, si fa sempre piú enigma tragico, man mano che si illanguidisce la certezza dell’immortalità dell’anima e della risurrezione finale. Allora, cosa fare noi credenti? Nell’attesa del battesimo finale, dobbiamo nutrirci della preghiera, della carità, dei sacramenti, soprattutto dell’eucaristia, pegno di risurrezione e di immortalità, in modo che anche per noi la morte diventi “sorella”, anzi “amica”.
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