“In Cristo siamo popolo regale, sacerdoti per il nostro Dio” è il titolo della rubrica curata dal prof. Giovanni Chifari, docente di Teologia Biblica, offerta agli amici di Tele Radio Padre Pio ogni martedì pomeriggio nel corso del programma “Un senso, un traguardo”, come piccolo “strumento” per una crescita personale che scaturisce da un impegno generato dalla Parola di Dio ascoltata, meditata, celebrata e condivisa. Vi proponiamo alcuni stralci tratti dalla puntata del 20 aprile 2010 realizzata nel corso della rubrica dedicata all’Anno Sacerdotale.
Siamo ancora colmi della gioia pasquale, nella quale abbiamo proprio ieri vissuto un momento importante e significativo per l’intera Chiesa, con la traslazione delle spoglie mortali di San Pio da Pietrelcina verso la Chiesa nuova a lui intitolata, evento che talaltro è caduto anche nel quinto anniversario di pontificato di Papa Benedetto XVI. Ci sembra opportuno e doveroso commentare brevemente questi eventi.
In attesa del brano di domenica prossima, che ci vedrà approfondire alcuni dei tratti che caratterizzano Gesù, il suo modo di essere pastore, che ci conosce, ci ama donando la sua vita per noi, proprio ieri abbiamo fatto esperienza di altri due pastori: san Pio da Pietrelcina e il nostro Pontefice Benedetto XVI. La Chiesa tutta ha voluto onorare san Pio traslando le sue spoglie mortali in una chiesa, a lui intitolata, all’interno di una cripta, che intende essere un pallido riflesso della gloria dei santi. Padre Pio è stato un pastore secondo il cuore di Dio, donando se stesso per i fratelli, attraverso una fervente e costante preghiera, una vita “spesa”, come ricordato da Giovanni Paolo II, fra “l’altare e il confessionale”, nella direzione spirituale. Benedetto XVI invece è il pastore che esercita il suo servizio sull’intero gregge a lui affidato, quello della Chiesa universale, a nome di Cristo, in continuità con Pietro, del quale è successore.
Quali aspetti vogliamo segnalare in questo brano che la liturgia ci presenta?
Innanzitutto ci chiediamo chi sono le pecore delle quali sta parlando Gesù. Lui infatti, le definisce come di sua proprietà: “le mie pecore”. Certamente il Gesù storico, pronunciando queste parole intende chiarire il senso della sua sequela e discepolato. Le sue pecore ascoltano la sua voce, sono da Lui conosciute e lo seguono. Sono indicati con queste parole alcuni passaggi che caratterizzano la sequela di Cristo: è necessario dapprima ascoltare la sua voce, fatto che avviene primariamente attraverso l’ascolto ed approfondimento della Parola di Dio. La Scrittura è un luogo nel quale possiamo fare esperienza di Dio, possiamo riconoscerlo. Tuttavia come i discepoli di Emmaus, abbiamo bisogno che sia proprio Lui ad “aprirci” al senso pieno delle Scritture. Nell’ascolto, facciamo un esperienza che determina reciproca conoscenza, fra noi e Dio, poiché attraverso la Parola comprendiamo noi stessi, la nostra vocazione e missione, ma siamo anche da lui conosciuti, ovvero amati, inseriti per mezzo dello Spirito nella comunione trinitaria. Di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo, tutto il resto lo stimiamo come una perdita, o addirittura spazzatura (cfr Fil 3,8ss). Ma l’ascolto non è ancora la sequela, potremo infatti, ascoltare e non fare, intendere e non volere, abbiamo bisogno di oggettivare la nostra conversione. Seguire Gesù significa scegliere affinché Lui sia l’opzione fondamentale della nostra esistenza, e dunque percorrere la via da Lui stesso tracciata, quella che passa per il rinnegamento di noi stessi, attraverso l’abbraccio della sua croce, che tuttavia ci apre alla gloriosa resurrezione, che abbiamo sperimentato già a partire dal nostro battesimo.Il dono che Gesù ci fa, risponde alle attese e ai bisogni dell’uomo, Egli ci dona la vita eterna. Non la semplice vita, ma la chiave di lettura della stessa, il suo senso profondo che possiamo rintracciare solo in Dio.Infine un ulteriore aspetto che possiamo sottolineare è quello dell’intima unione di Gesù con il Padre suo, unica è la missione, unico ed inscindibile è l’amore. Chi vede Gesù, vede il Padre.
Al termine di questo appuntamento dedicato all’anno sacerdotale, vogliamo soffermarci su alcuni tratti della Parola che possono illuminare il ministero sacerdotale e magari farci comprendere la decisività di questo servizio all’interno della Chiesa.
Il Gesù pastore buono e bello (kalos), ben presto divenne per le prime comunità cristiane, l’esempio e il modello sul quale orientare la propria vocazione. Il sacerdote, pastore secondo il cuore di Dio, è colui che fa esperienza della “voce” di Cristo, già nel momento di individuazione della propria chiamata e missione. Egli infatti, ha potuto discernere questa voce docile ed amorevole, per mezzo dell’azione dello Spirito, che guida e sostiene la Chiesa, chiamando alla sequela di Cristo.In risposta a tale chiamata, il sacerdote intende rendere presente fra gli uomini l’amore e la misericordia di Dio, cercando di invitare ed esortare i propri fedeli ad aprirsi all’incontro con Dio.Il sacerdote è colui che rinnova ogni giorno la meravigliosa scoperta del sentirsi amato da Dio, e fa di quest’amore il segno distintivo del suo esistere. Le ferite del peccato, alle quali faceva riferimento il Santo Padre nella sua visita apostolica presso la Chiesa di Malta, possono essere guarite e sanate solamente attraverso l’amore vero, nella giustizia e nella pace.