Dopo la decisione del Governatore americano dell’Illinois, George Ryan, di commutare in ergastolo 156 condanne a morte, abbiamo intervistato il presidente della sezione italiana della più autorevole e celebre associazione in difesa dei diritti umani, Amnesty International.
Marco Bertotto, un avvenimento storico.
“Sì, anche perché non c’è solo l’elemento umanitario alla base della decisione del governatore Ryan. Dopo un quarto di secolo, finalmente si stabilisce che la pena di morte non è solo iniqua e arbitraria, non è solo una violazione dei diritti umani, ma è un controsenso rispetto agli obiettivi della giustizia penale: negli ultimi anni ogni otto condannati almeno uno è risultato poi innocente.”
C’è un sistema quindi che persino dopo l’esecuzione non considera chiuso il caso.
“Per merito dei volontari, delle associazioni abolizioniste! Sono ricerche condotte non certo dalla magistratura. C’è ad esempio il ‘Progetto Innocenza’, un’organizzazione che da alcuni anni si occupa di provare l’innocenza dei condannati attraverso ulteriori elementi, ad esempio il test dna. Sugli errori giudiziari i dati sono pur sempre agghiaccianti, come citavo prima.
Nelle scelta del governatore dell’Illinois ha poi inciso il risultato dell’indagine condotta nel 2000: in ben 4 casi si è scoperto che la prova decisiva era una confessione estorta sotto tortura.”
George Ryan è un conservatore, come lo schieramento che governa gli Stati Uniti.
“Il che fa escludere una sua candidatura alle prossime elezioni… L’attuale presidente Bush durante il suo governo in Texas ha usato la pena capitale in modo incisivo e massiccio. E’ indubbio però che negli Stati Uniti non è un problema di schieramento politico, ma di scelte sbagliate e di arretratezza nell’amministrazione della giustizia. Dal 1976(data di reintroduzione della pena morte) ci sono state 825 esecuzioni. Credo si tratti di incapacità di comprendere che la pena di morte non solo è ingiusta, iniqua, una violazione al diritto alla vita, ma soprattutto è inefficace. C’è questa ipocrisia di fondo: non ci sono prove che abbia potere deterrente, anzi, molti portano prove in senso opposto: la pena di morte porta ad eccedere, ad andare sempre oltre…Trasmette l’idea che il rimedio per risolvere le questioni sia una forma estrema di violenza, di stato o non di stato.
Ricordo che quattro paesi, Cina, Iran, Arabia Saudita e Usa, commettono circa l’85 per cento delle condanne inflitte su tutto il pianeta, ma il trend ormai è verso l’abolizione. In America si è avviato un percorso che ci fa sperare che questo paese non voglia più condividere la leadership mondiale con gli altri tre.
Negli ultimi dieci anni, ogni anno tre paesi hanno mandato il boia in pensione.”
Negli Stati Uniti c’è stato finalmente questo segnale di controtendenza. Cosa accade negli altri paesi?
“E’ molto più difficile capirlo, ad esempio il numero di esecuzioni in Cina è estremamente difficile da stabilire: dopo un caso di massa ad inizio anno(sette persone giustiziate in una volta), non sappiamo se altri abbiano subito la stessa sorte.
In questi paesi le informazioni sull’amministrazione della giustizia sono praticamente inaccessibili: ed è anche impossibile collaborare con i movimenti abolizionisti perché, se ci sono, sono clandestini.”
In Italia di quanti casi vi occupate?
“L’impegno sulla pena di morte per Amnesty International è globale anche in Italia. Ce ne occupiamo in modo permanente, è certo un tema di scottante attualità. Volendo fare cifre, 111 paesi hanno scelto di rinunciare al boia, 84 paesi ce l’hanno ancora. Nel 2002 ci sono stati 71 casi.
Naturalmente le cifre sono in costante aggiornamento, anche se rispetto a solo dieci anni fa la situazione è diversa, la pena di morte tende a scomparire, anche se con una lentezza che dal punto di vista delle vittime è certamente preoccupante.”