"Sotto la Croce si impara ad amare" ogni giovedì alle 8.45 su PADRE PIO TV
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Fr. Pio Capuano dal convento dei frati minori cappuccini di san Marco La Catola (FG) approfondisce la spiritualità di San Pio
“La vita consacrata, mediante la professione dei consigli evangelici, è una forma stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo piú da vicino per l’azione dello Spirito santo, si dànno totalmente a Dio, amato sopra ogni cosa. In tal modo, dedicandosi con nuovo e speciale titolo al suo onore, all’edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla perfezione della carità nel servizio del regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso, preannunciano la gloria celeste” (CIC 573).
“Quale il significato della vita consacrata?”. La vita di tutti i consacrati ha una chiara “dimensione escatologica”, e poiché è “segno splendente del regno dei cieli” (PC 1), deve compiere con slancio i doveri della vocazione e orientarsi verso i beni celesti, già presenti in questo mondo. Vivere la dimensione escatologica significa vivere la “tensione verso il regno di Dio, che viene prefigurato e in qualche modo anticipato e pregustato dai voti di castità, povertà e obbedienza” (Cfl 55).
Per i consacrati scegliere Cristo significa servire tutto quello che è suo, mettendosi a servizio della sua Chiesa, per la diffusione del suo regno. La loro vita apostolica, perciò deve essere segnata dal mistero stesso della salvezza in Cristo ed esprimersi con l’annuncio del vangelo, con la preghiera e le opere di misericordia. Essi devono cercare Dio con tutta la mente e tutto il cuore, per associarsi all’opera redentrice di Cristo, coltivando intensamente la vita spirituale personale e comunitaria, guidati dallo Spirito santo, fonte d’ogni rinnovamento. Questo rinnovamento comincia col tornare alle fonti genuine della spiritualità cristiana e del proprio fondatore, nutrendosi della preghiera, della meditazione e della continua conversione.
In questo cammino di conversione non si può fare a meno della vergine Maria, modello e patrona d’ogni consacrato, chiedendo il suo aiuto, tramite il culto liturgico e i pii esercizi, raccomandati dalla Chiesa. Il compito dei consacrati è quello di presentare Gesú ai credenti e non. Questo compito è devoluto soprattutto agli Istituti secolari. Essi sono un dono prezioso per la Chiesa, giacché in ogni settore della vita, in tutte le età e a tutti i livelli, c’è tanto sbandamento, incertezza, delusione e crisi, a causa del disordine civile e religioso.
Per i consacrati, Gesú è la ragione stessa del loro essere. Ciò non significa calcare le orme, ma riprodurne la vita: lui il capo e noi le membra di un unico corpo, rendendolo presente in mezzo agli uomini del nostro tempo e del nostro ambiente. I consacrati rinunciano al mondo, come tentazione, per trasformarlo in un campo vocazionale al servizio degli uomini, per continuare a realizzare quello che Gesú, nei limiti del suo corpo sensibile e materiale, non ha potuto concretizzare, creando persone autentiche, che s’impegnano a migliorare se stessi, rinnovandosi in profondità.
“Come ha vissuto p. Pio la sua consacrazione?”. Non è facile rispondere a questa domanda, perché p. Pio era restio a manifestare la sua interiorità. Risponderò, allora, su quello che si vedeva esternamente e terrò in considerazione qualche suo consiglio.
Il giorno dopo la beatificazione di p. Pio, nella messa di ringraziamento, a Roma, il b. Giovanni Paolo II, tra l’altro, disse: “Ai consacrati, in modo speciale alla Famiglia francescana, p. Pio offre una testimonianza di singolare fedeltà. Francesco era il suo nome di battesimo, e del serafico padre egli fu, fin dal suo ingresso nel convento, un degno seguace, nella povertà, nella castità e nell’obbedienza. Praticò, in tutto il suo rigore, la Regola dei cappuccini, abbracciando con generosità la vita di penitenza. Non si compiacque del dolore, ma lo scelse come via di espiazione e di purificazione. Come il poverello d’Assisi, puntò alla conformità con Cristo, desiderando solo «amare e soffrire», per aiutare il Signore nella faticosa ed esigente opera della salvezza. Nell’obbedienza «ferma, costante e ferrea» (Ep. I, 488), trovò la piú alta espressione il suo amore incondizionato a Dio e alla Chiesa”(Giov. Paolo II, 3-5-1999).
Ogni uomo viene al mondo, per compiere una missione. P. Pio come religioso cappuccino ha vissuto “sine glossa”, senza interpretazioni, la sua Regola e i suoi voti. Come sacerdote ha svolto la missione propiziatrice presso Dio nei confronti della famiglia umana. Tutto questo si è verificato, perché è sempre vissuto in grazia di Dio. Egli dai papi: Paolo VI e Giovanni Paolo II, è stato presentato come il sacerdote ideale nella sua dimensione sacra, in quell’apostolica, in quella mistico-ascetica e, infine, in quell’ecclesiale. P. Pio si propone come incarnazione del soprannaturale, come testimone dell’infinita misericordia del Padre, come icona di Cristo, come assertore del sacrificio di sé agli altri, della preghiera, della sofferenza cristiana, dell’amore fedele ai superiori, alla Chiesa e al papa. Egli è santo per i sacerdoti, perché modello ideale per ognuno di loro, avendo ricevuto dal Signore la “missione a corredimere”, alla quale ha risposto pienamente, esercitando instancabilmente il ministero della riconciliazione e celebrando umilmente e santamente il sacrificio dell’altare. A questo proposito l’attuale papa disse: “P. Pio insegnava ai sacerdoti a farsi strumenti docili e generosi della grazia divina, che guarisce le persone alle radici dei loro mali, restituendo ad esse la pace del cuore. L’altare e il confessionale furono i due poli della sua vita: l’intensità carismatica con cui egli celebrava i divini misteri è testimonianza quanto mai salutare, per scuotere i presbiteri dalla tentazione dell’abitudine ed aiutarli a riscoprire giorno per giorno l’inesauribile tesoro di rinnovamento spirituale, morale e sociale posto nelle loro mani” (Giov. Paolo II, 3-5-1999). P. Pio è stato faro di luce sia per i consacrati che per i sacerdoti secolari. Tra i suoi figli spirituali ci sono anche fondatori e fondatrici di nuove Famiglie religiose. Eccone alcuni: Sr. Maria Gargani, fondatrice a Napoli di “Le apostole del sacro Cuore”; Gemma Giannini a Lucca delle “Sorelle di s. Gemma”; Eleonora Foresti delle “Suore francescane adoratrici”…
In sintesi, si può affermare che p. Pio ha riattivato lo spirito e la Regola di s. Francesco in molte comunità maschili e femminili. Per le anime consacrate dà un testo-guida: “Il prototipo, l’esemplare su cui bisogna rispecchiarsi e modellare la vita nostra è sí Gesú. Ma Gesú ha scelto per suo vessillo la croce e perciò vuole che tutti i suoi seguaci devono battere la via del Calvario, portando la croce per poi spirarvi distesi su di lei. Solo per questa strada si perviene a salvezza” (Ep. III, 243 = a Maria Gargani, il 4-9-1916, da S. G. R.).
Cristo è il modello primo, che esprime il suo amore sacrificale nell’abbracciare la croce. P. Pio, sull’esempio del suo Maestro, ha fatto del dolore, vissuto con amore in tutta la sua esistenza, la sua vera vocazione-missione. Confessa lui stesso, parlando ai medici: “Che vi devo dire? Anche voi siete venuti al mondo come sono venuto io, con una missione da compiere… Io religioso e sacerdote ho una missione da compiere: come religioso, come cappuccino, l’osservanza perfetta e amorosa della mia regola e dei miei voti; come sacerdote la mia è una missione di propiziazione: propiziare Dio nei confronti dell’umana famiglia” (CS 5-5-1957).
Ai consacrati dà anche un suggerimento, per esser felici. Scrive a Erminia Gargani: “Tutto l’edificio della tua beatitudine è sostenuto da queste due colonne (Ep. III, 706) …il desiderio della santità, che Dio ha piantato nell’anima tua (ib 705) …e l’amore della tua verginità, amore santo e desiderabile per altrettante ragioni, quante stelle sono in cielo, e senza del quale lo stato verginale è disprezzabile e falso” (ib 705). Questo significa che, senza l’amore alla perfezione e alla castità, non si può esser felici. Queste due virtú: il desiderio alla perfezione e l’amore alla castità, per p. Pio sono cosí importanti che egli le considera come “le colonne dei vostri tabernacoli” (ib 705), sulle quali è sostenuto “tutto l’edificio della vostra felicità” (ib 706). Di queste due colonne scrive anche ai suoi discepoli, esortandoli: “Sforzatevi di conservare sempre in piedi queste due colonne, ed abbiate in tutto e per tutto una santa libertà di spirito” (Ep. IV, 441 = il 18-1-1918). La felicità per il religioso, quindi, è come un tabernacolo, come un edificio, che poggia sul desiderio della perfezione e sull’amore alla castità. Se vogliamo conseguire un bene è necessario che prima lo desideriamo. Questo vale anche per la perfezione cristiana. L’amore per la castità vale per tutti, ma particolarmente per le anime consacrate. In questo p. Pio si rifà all’insegnamento di s. Paolo, che, scrivendo ai Corinzi, dice: “Chi è celibe, chi è casto ha sollecitudine delle cose del Signore” (I Cor 7, 32). Concludo questa riflessione su p. Pio “modello delle anime consacrate” con un augurio, che egli stesso invia il 12 gennaio 1917 a Erminia Gargani: “Gesú sia sempre nel tuo cuore, ti benedica, ti consoli, ti sorrida! Questo è l’augurio assiduo, che ti fa chi ardentemente desidera di vederti ascendere per tutti i gradi della cristiana perfezione” (Ep. III, 669).
Nei miei incontri, da cordigero-araldino, con il santo p. Pio, mi è rimasta impressa una sua espressione, sintesi degli insegnamenti francescani: “Figlio mio, ricorda sempre che la tristezza viene dal diavolo”. Anche in forza di questa massima di p. Pio, io cerco sempre di avere il sorriso sulle labbra, donando parole rasserenanti a coloro che incontro nel mio cammino di frate cappuccino. P. Pio è il mio modello costante, perché, pur tra atroci sofferenze fisiche e morali, ha donato e insegnato a offrire gioia e sorrisi, carezze e amore, e, piú di qualche volta, anche una battuta umoristica, con insegnamento morale.
Un frate, confessandosi da p. Pio: “Padre, nella recita del Breviario, qualche volta mi ‘ndroppico! (balbetto). Continuando la confessione, aggiunse: “Padre, purtroppo, spesso, mormoro ai danni dei miei confratelli!”. E p. Pio, con sottile ironia: “Confratello, nel mormorare, come mai non ti ‘ndroppichi’ piú, eh?”.