Si ricorda di qualche momento particolarmente drammatico o doloroso? A mio avviso il momento drammatico più intenso vissuto dal Papa e modestamente anche da me fu il ritorno nella sua stanza di degenza al Gemelli il giorno in cui fu sottoposto alla tracheostomia. Io avevo convinto quella mattina il Santo Padre a ricoverarsi per la seconda volta al Gemelli, in quanto quella notte era stata tempestosa in quanto aveva sfiorato la soffocazione, e solo per la bravura acrobatica dei medici del Vaticano che lo assistevano insieme a me, ne uscì fuori abbastanza bene. Ma non tanto da escludere che si potesse ripetere quanto prima. E per questo avvenne il ricovero nella tarda mattinata di quel giorno. Nel pomeriggio dopo gli accertamenti che furono fatti d’urgenza, il collegio medico che lo seguiva in cui dominavano in quel momento i neurologi e gli otorinolaringoiatri perché competenti strettamente sulla materia, fu concluso che l’unica soluzione possibile ed urgente era questo intervento. E bisognava dirlo al Papa. Io andai da lui, gli raccontai garbatamente queste conclusioni, mi affiancava il prof. Proietti del Gemelli, e gli dissi che l’intervento andava fatto al più presto. Il Papa stesse a sentire e parlando con voce strozzata e a piccole frasi disse che poteva accettare e che però preferiva farla d’estate, durante le vacanze. Allora io dovetti farmi coraggio e dirgli che andava fatta subito se possibile la sera stessa. Allora gli dissi anche, perché il consenso che stavo chiedendo fosse realmente informato come vuole la morale e la legge, che ne sarebbe uscito da questo intervento con una grave ulteriore compromissione della voce sia nella parola e tanto più nel canto. Questo lo colpì molto e chiese qualche minuto per riflettere, dopo pochi minuti venne il segretario a dire che il Papa accettava, ed era disponibile ad essere operato subito. L’operazione è andata bene, il Papa tornò in camera, si accorge che la voce esce con estrema difficoltà, ed ecco a mio avviso il momento storico: chiede un foglio di carta che gli porge suor Tobiana, la suora polacca che lo assisteva da vicino e con una penna verde – lo ricordo ancora – scrive «Cosa mi hanno fatto?» e poi aggiunge «Totus Tuus». Cioè lui non se la prendeva con i medici, non se la prendeva con nessuno, si vedeva precipitare in un abisso in cui non sapeva immaginare di poter precipitare perché nessun malato sa prevedere esattamente quello che succede quando si affronta un intervento radicale. Lo sa razionalmente ma in se stesso, sulla sua carne non riesce mai ad immaginarlo. E lui subito capì che aveva raggiunto un punto estremo di spoliazione dal punto di vista fisico, umano e soprattutto spirituale.
Ci può raccontare un episodio in cui emerge un Giovanni Paolo II inedito?
Il Papa, durante quelle scappatelle da Roma, di cui tanto si è parlano e a cui io ho sempre partecipato, amava sostare in luoghi panoramici. Passava lunghe ore in lettura, preghiera e anche silenziosa meditazione, soprattutto questo avveniva durante i soggiorni in montagna nei periodi estivi. Il momento divertente era che alla fine di queste giornate il Papa, quasi sempre chiedeva di cantare. E allora i gendarmi vaticani che lo scortavano, i poliziotti italiani, il segretario, un amico polacco che spesso lo accompagna e il sottoscritto, intonavamo canti di montagna che il Papa un po’ sapeva e un po’ imparava. E io gli mettevo in mano un libricino di canti da montagna che avevo fatto elegantemente rilegare di bianco, come si usa per le cose che si danno al Papa. La cosa buffa era che questo coro veniva diretto da me che tutto so meno che la musica e il Papa si divertiva molto a vedermi dirigere come un direttore d’orchestra.