Amnesty International ha pubblicato un rapporto (disponibile sul sito web dell’organizzazione) sull’uso della pena di morte nel mondo. Nel solo 2022 sono state almeno 833 le esecuzioni capitali registrate da Amnesty non includendo quelle migliaia che hanno presumibilmente avuto luogo in Cina dove i dati sulla pena di morte continuano ad essere classificati segreto di stato. Nella quasi totalità dei casi la pena di morte è applicata in violazione del diritto internazionale. Sono stati ad esempio condannati a morte soggetti di età inferiore a 18 anni o persone affette da disabilità mentali. Spesso la pena di morte è stata comminata senza che l’imputato abbia avuto un “giusto processo” oppure per crimini che non implicano l’omicidio volontario e pertanto non raggiungono la soglia dei “reati più gravi” come stabilito dal diritto internazionale. Sono stati puniti con la pena capitale anche reati di droga ed altri collegati alla sicurezza nazionale (“tradimento, spionaggio, critica delle politiche del leader”, ecc).
Tra i 58 Paesi in cui la pena di morte è ancora in vigore, quelli in cui si è registrato il più elevato numero di condanne capitali nel 2022 sono stati Cina, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Egitto, Corea del Nord e Vietnam. Gli unici paesi industrializzati e liberi in cui viene applicata la pena di morte sono il Giappone e gli Stati Uniti d’America (anche se in alcuni Stati americani è stata abolita). È opportuno infine ricordare che la pena di morte viene spesso applicata con metodi crudeli come l’iniezione letale, la sedia elettrica, la camera a gas ed anche con la lapidazione (come avviene ad esempio in Iran per le donne adultere o per altri crimini).
In Italia la pena di morte è stata abolita nel 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione Italiana. Nel 1994 la pena di morte, ancora contemplata nel Codice Penale Militare di Guerra, è stata sostituita con l’ergastolo. L’ultima condanna a morte in Italia è stata eseguita nel 1947 a Villarbasse(TO) nei confronti di tre uomini autori di una strage a scopo di rapina.
L’Italia è stata fra le prime nazioni a schierarsi contro l’uso della pena di morte. Risale infatti al 1764 la pubblicazione del saggio del filosofo illuminista Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene” in cui viene messa in discussione la prerogativa dei monarchi di comminare la pena di morte. Le argomentazioni giuridiche e sociali addotte dal Beccaria vengono integralmente accolte dal Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena che, il 30 novembre 1786, promulgando la Riforma Penale, per la prima volta al mondo, abolisce la pena di morte e la tortura.
Il 30 novembre di ogni anno viene celebrata la Giornata delle “Città per la vita, Città contro la Pena di Morte”, una ricorrenza internazionale promossa dalla Comunità di Sant’Egidio in cui sono messe in rete oltre duemila città del pianeta per richiedere la sospensione della pena capitale nei Paesi in cui essa è ancora in vigore.
Si tratta, come riportato nel sito Web dedicato a tale campagna, di “una grande mobilitazione contemporanea mondiale per non dimenticare che ancora oggi ci sono paesi del mondo che mantengono questa forma di punizione crudele e disumana e per indicare una forma più alta e civile di giustizia, capace di rinunciare definitivamente alla pena capitale”. Le città coinvolte danno vita a “mobilitazioni ed eventi nelle strade, nelle scuole e nelle università per iniziativa dei loro amministratori o dei cittadini. Ogni città mette a disposizione un monumento importante che per l’occasione si illumina in modo speciale, diventando “logo vivente” di un impegno e di un dialogo con i cittadini per un mondo senza pena di morte”.
Anche quest’anno Roma ha ospitato l’evento centrale di “Cities for life 2023” con due eventi, il primo svoltosi il 29 novembre presso la Sala della Protomoteca del Comune di Roma dove hanno preso la parola esponenti della battaglia contro la pena di morte, ed il secondo nella giornata di ieri presso il Colosseo. Con un gioco di luci e suoni estremamente suggestivo questo superbo monumento si è trasformato, per un giorno, da luogo tristemente famoso per i giochi cruenti e violenti che vi si svolgevano nell’antica Roma a simbolo di vita e di giustizia. Anche qui ci sono stati interventi da parte di chi, da anni, è attivamente impegnato nella campagna “No alla pena di morte”.
In questa due giorni romana vari sono stati i relatori che hanno espresso il loro più fermo dissenso contro la pena di morte.
Mario Marazziti, della Comunità di Sant’Egidio, ha evidenziato la gravità e l’inumanità della pena di morte sottolineando la necessità di una giustizia che rispetti la vita e la dignità umana. Ha ricordato che il numero di paesi al mondo che hanno abolito questa pratica disumana è aumentato significativamente negli ultimi anni grazie a questa e a numerose altre campagne internazionali. Infine ha lanciato, a nome della Comunità di Sant’Egidio, due appelli, uno al Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, perché commuti tutte le sentenze capitali nel braccio della morte in pene detentive e l’altro al Re dell’Arabia Saudita, Mohammad bin Salman, perché abolisca la pena di morte dopo che il suo Paese è stato scelto per ospitare l’Esposizione Universale del 2030.
Altro intervento di rilievo è stato quello di Suzana Norlihan Binti Alias, avvocato musulmana, attivista contro la pena di morte in Malesia, che ha sottolineato come la pena di morte rappresenti un castigo estremo che divide le società e solleva questioni morali profonde, per la sua natura irreversibile e per il rischio di condanne ingiuste. La criminalità non si combatte con la pena di morte bensì con la compassione e la comprensione, veri strumenti di giustizia che consentono la riabilitazione completa del condannato.
Non è mancata la testimonianza di un ex condannato a morte, Gary Drinkard, che rinchiuso nel braccio della morte di un penitenziario americano, è stato liberato dopo 5 anni essendo stato riconosciuto innocente del reato di omicidio che gli era stato contestato. Ha testimoniato le condizioni inumane di vita del “dead man walking”, la sua disperazione, la mancanza di fiducia e di speranza che più di una volta hanno indotto al suicidio i suoi compagni di detenzione. Fondamentale è stato per lui il sostegno ricevuto dagli “amici di penna”, senza il quale avrebbe perso la ragione.
Emile Nakombo, sindaco di Bangui nella Repubblica Centrafricana, ha usato il paradigma dell’acqua (“il bene”) e del fuoco (“il male”) per evidenziare l’importanza di usare il “bene” per spegnere il “male”, specialmente da parte di chi governa una nazione. Descrivendo la crisi nel suo paese, l’ha attribuita a leader incapaci di “spegnere il fuoco” della violenza e del conflitto. La situazione è migliorata, ha affermato, grazie all’intervento della Comunità di Sant’Egidio e alla leadership di un presidente che condivide valori umanitari. L’abolizione della pena di morte nel suo paese è una prova tangibile che, anche in situazioni difficili, si può costruire una società più giusta e compassionevole.
Non sono infine mancati gli interventi delle istituzioni capitoline. Il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e, in sua rappresentanza al Colosseo, l’Assessore alla Cultura, Miguel Gotor, hanno sottolineato il ruolo di Roma come Città di Pace e di Giustizia. Da Roma, grazie alla Comunità di Sant’Egidio, è partita questa giornata internazionale contro la pena di morte che ogni anno illumina il Colosseo e altri monumenti in oltre 2000 città. Si tratta – come ricordato da Gualtieri – di “un momento di consapevolezza e di battaglia culturale e civile che ricorda al mondo l’orrore e l’insensatezza della pena di morte, la sua profonda opposizione con i valori e con i principi che mettono al centro la dignità della persona. La pena è giusta e necessaria ma mai deve violare la sacralità della vita e deve sempre consentire un percorso di rieducazione”.
La speranza di tutti è che si arrivi al più presto se non ad una abolizione quanto meno ad una moratoria universale della pena di morte, così come chiaramente riportato nella Risoluzione dell’ONU approvata nel 2007 in cui l’Italia ha avuto un ruolo propositivo determinante.