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Home Programmes Sotto la croce si impara ad amare

Padre Pio modello di temperanza

Redazione by Redazione
12 anni ago
in Sotto la croce si impara ad amare
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Padre Pio modello di temperanza
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28 feb 2013: 19° incontro: S. Pio, modello di temperanza
Dopo la prudenza, la giustizia e la fortezza, ecco la quarta e ultima virtú cardinale: la temperanza. Non ultima, però, in ordine d’importanza, perché sono indispensabili l’una all’altra.
La temperanza ha la capacità di sottomettere gli istinti e le passioni della carne allo spirito, come augura s. Paolo ai romani: “Non gozzoviglie ed ebbrezze, non lascivie e impudicizie, non rissa e gelosia, ma rivestitevi del Signore Gesú Cristo e non lasciate la carne nelle sue concupiscenze” (Rom 13, 13-14). Quando il cristiano mortifica le attrattive dei sensi, frenando gli istinti e le passioni, rifiutando loro i piaceri illeciti e moderando quelli leciti, non fa che vivere il suo battesimo, rendendo attuale la sua morte in Cristo, per condurre in lui la vita nuova della grazia e della carità. La temperanza cristiana, quindi, è un’esigenza del battesimo: è il rivestirsi “dell’uomo nuovo”, che non può avvenire senza lo spogliarsi “dell’uomo vecchio” (cf Col 3, 9-10), schiavo della concupiscenza, perché “quelli che vivono secondo la carne pensano alle cose dalla carne, quelli che vivono secondo lo spirito pensano alle cose dello spirito” (Rom 8, 5).
La temperanza, frutto della rigenerazione, comporta, allora, le virtú della continenza, castità, modestia, sobrietà; virtú, che non hanno solo un aspetto negativo, derivante dalla necessità di mortificare tutto ciò che è sregolato, ma anche un aspetto positivo, che dice libertà, serenità, ordine interiore ed esteriore, per cui il cristiano può godere della sua nuova vita in Cristo, amando Dio e il prossimo, con cuore libero. È questo l’aspetto nuovo piú alto e positivo della temperanza, che, staccando l’uomo da ciò che è appagamento egoistico dei sensi, lo conduce a quella perfetta armonia tra spirito e materia, che gli permette di progredire nella carità.
1ª domanda: “Come p. Pio ha vissuto questa virtú?”.
Dal “Decreto sulle virtú” leggiamo: “In p. Pio la preghiera e la mortificazione erano i mezzi da lui usati abitualmente, per conseguire la virtú della temperanza, in conformità allo stile francescano. Era temperante nella mentalità e nel modo di vivere”.
Cerco di spiegare meglio il significato di questa virtú, tramite le parole, che disse il b. Giovanni Paolo II, in una delle sue prime udienze, quella del 22 novembre 1978: “Il termine stesso di temperanza sembra in un certo modo riferirsi a ciò che è fuori dell’uomo. Infatti, diciamo che è temperante colui che non abusa di cibi, di bevande, di piaceri, chi non beve smodatamente alcolici, chi non si priva della coscienza per l’uso di stupefacenti… Questo riferimento a elementi esterni all’uomo ha però la sua base dentro l’uomo. È come se in ciascuno di noi esistesse un io superiore e un io inferiore. Nel nostro io inferiore si esprime il nostro corpo e tutto ciò che gli appartiene: i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue passioni… La virtú della temperanza garantisce a ogni uomo il dominio dell’io superiore sull’io inferiore… Fa sí che il corpo e i nostri sensi trovino il giusto posto, che spetta loro nel nostro essere umano. L’uomo temperante è colui che è padrone di se stesso. Colui nel quale le passioni non prendono il sopravvento sulla ragione, sulla volontà e anche sul cuore. È l’uomo che sa dominare se stesso”.
a) P. Pio ha esercitato la virtú della temperanza, sotto ambedue gli aspetti, mortificazione interna-esterna, in modo straordinario, visibile, forse miracoloso ed eroico. Io presento soprattutto la mortificazione esterna, perché visibile: I) Temperò i propri desideri materiali, moderandoli il piú possibile, per raggiungere i vertici della spiritualità. II) Controllò il proprio carattere e castigò il suo corpo con continue penitenze. Per i medici: Per i medici resta un mistero come p. Pio abbia potuto sopravvivere, nutrendosi con pochi grammi di cibo al giorno e dormendo solo qualche ora la notte, nonostante che la sua vita non fosse oziosa, ma sottoposta a un ritmo intenso, faticoso, fatto di incontri vari, di confessioni, di digiuni e di veglie. A tutto questo, poi, bisogna aggiungere, oltre alle atrocità delle sue sofferenze morali, il dolore e la perdita di sangue, derivanti dalle sue piaghe, come è testimoniato da tutti coloro che hanno vissuto accanto a lui. Mortificazione nel mangiare: Presento la mortificazione nel mangiare, giacché sono molte le testimonianze. a) A colazione sorbiva una tazzina di caffè col brandy, consigliato dai medici, che, però, non consumava mai completamente. b) A pranzo assaggiava solo il primo e il resto passava agli altri, per la loro gioia.
c) A qualcuno, che l’incoraggiava a mangiare qualcosa di piú, rispondeva: “E che mi volete far crepare!”. d) Beveva non piú di mezzo bicchiere di vino. e) La sera, quando mangiava, la cena consisteva in un piccolo pezzo di formaggio o ricotta, con un sorso di vino o birra.
Come faceva a vivere con questo poco cibo, in considerazione alla sua straordinaria attività?
a) Era questo l’interrogativo non solo dei medici, ma anche di tutti coloro che l’hanno conosciuto. b) Né poteva avere alimentazione nascosta, giacché era seguito giorno e notte. Un fatto straordinario: Quando fu malato, per oltre tre mesi nel 1959 (dal 25 aprile al 6 agosto, cioè per 104) e guarito miracolosamente dalla Madonna di Fatima, si nutrì della sola ostia consacrata. Dopo la sua guarigione lo fecero pesare, era cresciuto di ben cinque chili, allora, scherzando, disse: “Se voglio fare una cura ricostituente, basta che non mangi!”. Scopo della sua temperanza? a) Lo scopo della sua temperanza nel cibo, come negli altri campi, era quello di imitare sempre piú da vicino Gesú crocifisso. b) Per fare i “fioretti” chiedeva sempre l’autorizzazione al suo padre spirituale. Prendo in considerazione due lettere. I) La prima è quella da lui scritta da Pietrelcina, il 21 luglio 1913, a p. Benedetto, nella quale chiede di fare un “fioretto” in ringraziamento alla Madonna, che lo protegge dagli assalti dei diavoli: “Vengo poi a chiedervi un permesso e voglio che non vi opporrete. Vorrei fare voto in onore della Vergine di astenermi dal mangiare frutta al mercoledí” (Ep. I, 390). II) L’altra è senza data e luogo di partenza, ma dovrebbe essere del gennaio 1917. P. Pio, militare, ottenuta una licenza per convalescenza, scrive a p. Benedetto: “Vengo poi a chiedervi un permesso, quello cioè di digiunare due volte al mese: una volta in onore della Madonna e un’altra in onore di s. Antonio” (Ep. I, 858).
Raccomandazione agli altri
a) P. Pio, persuaso della necessità di questa virtú per la crescita nella vita cristiana, la raccomandò caldamente alle anime, che si affidavano alla sua guida spirituale. Esorta Raffaelina Cerase: “Per ciò che riguarda la mortificazione della carne s. Paolo ci avverte che «quelli che sono veri cristiani, hanno crocifisso la loro carne coi vizi e le concupiscenze» (Gal 5, 24). Dall’insegnamento di questo santo apostolo appare che chi vuol essere vero cristiano, chi vive cioè con lo spirito di Gesú Cristo, deve mortificare la sua carne non per altro fine se non per devozione a Gesú, che per nostro amore volle sulla croce mortificare tutte le sue membra” (Ep. II, 204).
2ª domanda: “Come vivere questa virtú?”.
S. Paolo, nella prima lettera ai corinti, presenta il cristiano, come un atleta: “Ogni atleta è temperante in tutto; gli atleti lo fanno per una corona corruttibile, noi, invece, per una incorruttibile… Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitú, perché non succeda che, dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato” (1Cor 9, 25-27). a) Purtroppo, a causa del peccato originale, nell’uomo c’è la costante lotta tra la carne e lo spirito. b) Se vogliamo essere vincitori, I) prima di tutto, non dobbiamo stupirci della nostra situazione di disagi e fragilità. II) In secondo luogo, dobbiamo prendere le misure opportune, per impostare la battaglia in modo da uscirne vincitori. La vittoria si chiama temperanza, che ha come sinonimi: penitenza, sobrietà, dominio di sé, ascesi coraggiosa e saggezza soprannaturale.
Considerazione oggi sulla temperanza
a) La temperanza, nell’odierna giusta rivalutazione delle realtà terrene e, quindi, anche del corpo e delle sue esigenze, contro una diversa concezione del passato, bisogna aggiungere che la temperanza non tende affatto alla distruzione delle tendenze naturali in se stesse, come l’istinto del mangiare, del bere, della conversazione, del sapere, dell’onore, dello svago…, ma solamente degli istinti disordinati, che si oppongono al fine ultimo, cioè all’ordine stabilito da Dio.
b) Per questo motivo, la temperanza, almeno, per tutti i cristiani deve tornare di moda, in modo che ogni uomo possa realizzare pienamente la propria umanità e celebrare la vera libertà, per raggiungere la santità, come ha fatto p. Pio.
Barzelletta
Un barbone chiede a un tizio 5 euro. L’uomo dice: “Se te li dò, ti vai a comprare da bere?”. “No”. “Te li giochi a carte?”. “Certamente, no!”. “Allora, vieni a casa mia! Voglio far vedere a mia moglie cosa succede a chi non beve e non gioca a carte!”.

Redazione

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