Sotto la croce si impara ad amare
Su una semplice tomba bianca di madre Teresa di Calcutta, presso la sede delle Missionarie della Carità, a Calcutta, è stato inciso un verso del vangelo di s. Giovanni: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Gv 15, 12). Vi domanderete: “A che proposito il riportare la frase della tomba di madre Teresa?”. Vi accontento subito. Oggi, 13 settembre 2012, ricorre il 25° anniversario della venuta della santa della carità, qui, a S. G. R. Era il centenario della nascita di p. Pio e la nostra Provincia religiosa “S. Angelo e p. Pio”, tra le altre iniziative, dopo la visita del papa, il b. Giovanni Paolo II, il 23 maggio 1987, ha voluto invitare anche madre Teresa, anche lei beata dal 19 ottobre 2003, dopo appena sei anni dalla sua morte (5 settembre 1997). Proclamata beata da Giovanni Paolo II, per il suo amore per i poveri e i lebbrosi.
“Dov’era racchiuso il segreto del suo amore per queste persone?”.
Il segreto del suo amore ai “paria”, agli “intoccabili”, alla gente maledetta, a coloro cui era proibito entrare nei templi, nelle scuole, attingere acqua ai pozzi, avvicinarsi alle case, è racchiuso sulla spalla sinistra dell’abito (= sari) da lei indossato: vi è un piccolo crocifisso.
Quel crocifisso, simbolo dell’amore di Dio per gli uomini, le ha donato il motivo teologico e la forza di donarsi totalmente per i paria. Infatti, a un giornalista, che le chiedeva: “Con precisione, che cosa fate per queste persone?”. Madre Teresa rispondeva: “Per prima cosa, facciamo comprendere loro che gli si vuol bene; vogliamo che si rendano conto che c’è della gente, che realmente le ama! Che realmente ha cura di loro, affinché conoscano l’amore umano e l’amore divino! Che sappiano che anch’essi sono figli di Dio, non dimenticati, ma amati e curati e che ci sono delle giovani vite, pronte a sacrificarsi per loro!”.
Anche p. Pio ha donato totalmente la sua vita per i fratelli, imparando ad amare “ai piedi della croce”, come lui stesso ha confidato a p. Agostino Daniele: “Ai piedi della croce si impara ad amare!” (Ep. I, 339). Un amore, che “deve esser alimentato, nutrito dalla croce, altrimenti non è vero amore, ma si riduce a un fuoco di paglia!” (cf Ep. I, 571). L’amore di p. Pio, verso Dio e i fratelli è sintetizzato, in due frasi, che egli scrive al suo padre spirituale: Benedetto Nardella.
“Dove troviamo queste frasi?”.
Queste frasi le troviamo nell’Epistolario di p. Pio e precisamente nel I volume. Amore verso Dio, scrive il 20-11-1921: “Il tutto si compendia in questo: sono divorato dall’amore di Dio e dall’amore del prossimo! Dio è sempre fisso nella mia mente e stampato nel mio cuore. Mai lo perdo di vista” (Ep. I, 1247). Amore verso i fratelli, scrive il 26 marzo 1914: “Nel fondo di quest’anima parmi che Iddio vi ha versato molte grazie, rispetto alla compassione delle altrui miserie, singolarmente rispetto ai poveri bisognosi. La grandissima compassione, che sente l’anima alla vista d’un povero le fa nascere nel suo proprio centro un veementissimo desiderio di soccorrerlo; e, se guardassi alla mia volontà, mi spingerei a spogliarmi perfino dei panni, per rivestirlo” (Ep. I, 462- 463). L’amore di Dio e del prossimo devono andare insieme, perché “senza le opere la fede è morta” (Gc 2, 17). P. Pio diceva: “Si prega, come si ama!”. L’amore di Dio è necessario che venga vissuto anche nei fratelli, perché in essi Gesú Cristo si è identificato. Se non si amano i fratelli, non si ama neppure Dio.
Un esempio: I tedeschi, durante la seconda guerra mondiale, portavano sui cinturoni la frase: “Gott mit uns!”. Ma Dio non poteva essere né con i tedeschi, né con gli inglesi, francesi, americani, giapponesi, italiani, ecc…, perché si lottavano tra di loro! L’amore è donazione! Madre Teresa e p. Pio, per riempirsi totalmente di Dio, si son dovuti svuotare di se stessi, tramite la “notte oscura”. Ripieni di Dio, si sono, poi, donati totalmente ai fratelli, nei campi di loro competenza. Madre Teresa, anche come infermiera, avendo ella già svolto, in precedenza, nel Darjeeling, alle pendici dell’Himalaya, per due anni, 1929-1931, l’attività di aiuto-infermiera: compito, che la mise in contatto con la realtà dei malati. P. Pio, con l’istituire, nel 1925, un primo ospedale, quello di S. Francesco, al Largo delle Monache, distrutto con il terremoto del 1938, e poi, il grande ospedale “Casa sollievo della sofferenza”.
Atteggiamenti verso i santi: Verso i santi, e in questo caso specifico, verso madre Teresa e p. Pio, due devono essere gli atteggiamenti. Il primo è facile da attualizzarsi, in quanto basta manifestare, verso essi, la nostra riconoscenza, per il bene che hanno fatto ai fratelli e la loro testimonianza di fede, la nostra venerazione, la nostra invocazione. Il secondo atteggiamento, che è il piú importante e che consiste nell’imitazione, per un cammino di conversione, incontra tante difficoltà. La scusa principale è sempre la stessa: “Questo santo è ammirabile, ma non imitabile!”. Possibile? Gesú stesso ha detto che dobbiamo imitarlo: “Fate come me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29). Se dobbiamo imitare Cristo, sempre si intende nei gradi a noi possibile, come non possiamo imitare un santo? Anche s. Paolo ci invita all’imitazione dei fratelli, piú vicini a Dio, anzi lui stesso si pone come modello: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1 Cor 11, 1).
“Chi sono i santi?”.
Chi sono i santi? Ce lo dice la Costituzione dogmatica sulla Chiesa, la Lumen Gentium al n. 50: “I santi sono coloro che, pur essendo uomini come noi, si sono piú perfettamente trasformati nell’immagine di Xto. Nella loro vita, Dio manifesta vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto. In essi egli stesso ci parla e ci mostra un segno del suo regno” (LG 50).
Dicevo prima che noi abbiamo l’obbligo di imitare i santi. Imitare, ricordiamolo, non significa “scimmiottare” il santo, ma prendere l’esempio, da lui, per esser aiutati a sviluppare quei talenti, che Dio ha donato a ognuno di noi. Questi talenti, Dio ce li ha donati, però, solo in germe, in potenza, noi li dobbiamo far crescere, attualizzandoli. Come i talenti, anche la santità ci viene donata gratuitamente, ma solo in germe, come ci ricorda il CEV II, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa, la Lumen Gentium, al n. 40: “I seguaci di Cristo, chiamati da Dio e giustificati in Gesù Cristo, non secondo le opere, ma secondo il disegno e la grazia di lui, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina e perciò realmente santi! Essi, dunque, devono con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare, vivendola, la santità, che hanno ricevuta, e si rivestano «siccome si conviene a eletti di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, bontà, umiltà, modestia e pazienza» (Col 3, 12) e abbiano i frutti dello Spirito, per la santificazione (cf Gal 5, 22; Rom 6, 22)” (LG 40). Ovviamente, qui, non si parla della santità taumaturgica, cioè legata ai miracoli, e canonizzabile, ma della santità essenziale, della santità feriale, come si usa dire oggi, che è piena risposta a Dio, nell’amore e nell’osservanza della sua legge, con sforzo continuo, quotidiano e sincero di rinuncia al male, sotto le sue diverse forme. Questa santità è possibile, in tutte le età, in tutte le condizioni, in tutti gli ambienti ed è, relativamente, facile, con la grazia di Dio; un Dio, che “ci ha scelti, prima della creazione del mondo”, per una finalità ben precisa, “per essere santi e immacolati nella carità!” (Ef 1, 4). Quindi, non si diventa santi, in modo “miracolistico”, ma con libera e cosciente collaborazione dell’uomo alla grazia, alla santità, già ricevuta in germe, in potenza, nel battesimo.
Questo che ci è stato detto nella Lumen Gentium, n. 40, ci è stato ricordato e riconfermato nell’Esortazione apostolica “Christifideleslaici” (G. P. II, 30-12-19889, nei numeri 16-17. In questi numeri, il b. Giovanni Paolo II ci ricorda che: a) che la chiamata alla santità è “la prima e fondamentale consegna, che il Padre in Gesù Cristo , per mezzo dello Spirito santo, rivolge a ciascun fedele laico; b) che “la chiamata alla santità non è una semplice esortazione, ma una insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa; c) che “la chiamata alla santità affonda le sue radici nel battesimo e viene riproposta dagli altri sacramenti, principalmente dall’eucaristia; d) che “questa chiamata alla santità comporta che si imiti Cristo 1) nell’accoglienza delle sue beatitudini, 2) nell’ascolto e meditazione della parola, 3) nella consapevolezza e nell’attiva partecipazione alla vita liturgica e sacramentale della Chiesa, 4) nella preghiera individuale, familiare e comunitaria e, soprattutto, 5) nella pratica del comandamento dell’amore e di tutte le virtú, ciò vissuto nell’inserimento delle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene, divenendo tra gli altri laici «segno dell’infinito amore del Padre, che li ha generati alla sua vita di santità»”.
Conclusione: Come conclusione, ricordiamo l’espressione di s. Agostino: “Si isti et istae, cur non ego?”. (Se questi uomini e queste donne si sono fatti santi, perché non posso farmi santo anch’io?”.
Non è mai troppo tardi! Auguri! Pace e bene a tutti
Guarda la puntata: http://www.youtube.com/watch?v=Pj7OBiJy66w&feature=share&list=UU6tZWEYfNqoF8XjF7xA-DHg