Karol Wojtyla ha vissuto per ben due volte il dramma di trovarsi sulla linea di confine tra la vita e la morte.
La prima volta nel 1944. All’epoca, in una Cracovia ancora occupata dalla Gestapo, il ventitreenne seminarista clandestino lavorava in uno stabilimento chimico, alla periferia della città, vicino alla collina dove era sepolta suor Faustina Kowalska, dinanzi alla quale spesso si recava a pregare. Il 29 febbraio, mentre tornava a casa a piedi da un doppio turno in fabbrica, fu investito da un camion tedesco. Il suo corpo, esanime, fu soccorso dalla conducente di un tram e, successivamente, da un ufficiale della polizia segreta nazista. Fu lui ad accorgersi che il giovane era ancora vivo, fermò un altro camion e lo fece trasportare, in uno stato di semi-incoscienza, in ospedale. Qui diagnosticarono una grave commozione cerebrale, ma in due settimane Karol si riprese e trasse, da quel provvidenziale duplice intervento di salvataggio, la conferma della sua vocazione sacerdotale.

Nel pomeriggio del 13 maggio 1981, un quarto d’ora dopo le 17, mentre la papamobile percorreva il secondo giro in piazza San Pietro prima dell’udienza generale, si udì il rumore di tre spari. Due proiettili, sparati dal killer professionista Mehemet Alì Agca, colpirono Giovanni Paolo II: uno al braccio e uno al ventre, che sfiorò l’aorta e la colonna vertebrale. Immediatamente un’ambulanza trasportò il Papa, gravemente ferito e dissanguato,al policlinico “Gemelli”, dove perse conoscenza e dove fu immediatamente operato dal prof. Francesco Crucitti. Fu un intervento difficile, durato quasi cinque ore e mezza, ma decisivo per salvare la vita del Pontefice.
Questa volta l’intervento della Provvidenza fu più chiaro.Riflettendo sulla coincidenza che l’attentato era avvenuto nel giorno della prima apparizione di Fatima, Giovanni Paolo II chiese che gli fosse portato in ospedale il testo della terza parte del messaggio della Madonna. Diversi anni dopo, nel 1994, riferendosi a quanto gli era accaduto 13 anni prima, durante una meditazione ai vescovi italiani, egli stesso dichiarò: «Fu una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola e il Papa agonizzante si fermò sulla soglia della morte».