La bellezza si riflette sul volto di chi la guarda e Giovanni Paolo II ne è stato la prova vivente. Ha saputo cogliere, fin dagli anni della sua ricerca vocazionale, non solo la bellezza seminata nel mistero cristiano, ma anche quella donata da Dio al creato e quella riprodotta nell’arte figurativa, di cui la Chiesa è storicamente la principale mecenate e custode.
Uno dei miti del giovane Karol, infatti, è stato Adam Chmielowski, pittore «di grande talento» di Cracovia, nato nel 1845 e morto nel 1916, con un passato da eroico patriota e un futuro da fondatore di due ordini religiosi (uno maschile e uno femminile) basati su una vita austera e sulla carità verso i bisognosi e i senzatetto. Alla figura di “fratel Alberto”, questo il suo nome da religioso, il drammaturgo Wojtyla si ispirò per una delle sei opere teatrali scaturite dalla sua penna e, undici anni dopo l’elezione al soglio pontificio, fu lui a proclamarlo santo.

Il valore delle arti figurative per Giovanni Paolo II emerge anche da due documenti del suo magistero. Nella lettera apostolica Duodecimum saeculum, promulgata nel 1987, in occasione dei 1200 anni del II Concilio di Nicea, dedicato alla controversia sulle immagini, il Pontefice ribadì la legittimità della venerazione delle immagini sacre e riaffermò che «la visione di opere che cercano di esprimere il mistero senza per nulla occultarlo» può aiutare «il credente di oggi, come quello di ieri, […] nella preghiera e nella vita spirituale». Riprese il tema nel 1999, nella Lettera agli artisti, in cui si rivolse direttamente agli uomini dotati di creatività: «Nessuno meglio di voi artisti, geniali costruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all’alba della creazione, guardò all’opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si è infinite volte riflessa negli sguardi con cui voi, come gli artisti di ogni tempo, avvinti dallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme, avete ammirato l’opera del vostro estro, avvertendovi quasi l’eco di quel mistero della creazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modo associarvi» (n. 1). Nello stesso documento Papa Wojtyla rilanciò un concetto già espresso dai padri conciliari e sintetizzato dal suo predecessore, san Paolo VI: «La bellezza, come la verità, mette la gioia nel cuore degli uomini ed è un frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione» (n. 11).