“A dieci anni dalla fine della guerra, le donne di Srebrenica sono ancora in attesa che gli assassini dei loro figli, fratelli, padri e mariti siano consegnati alla giustizia.
L’ampio numero di casi irrisolti di sparizione, i cui responsabili non sono stati ancora assicurati alla giustizia, è probabilmente la più grave violazione dei diritti umani in corso nella Bosnia- Erzegovina”.
Alla vigilia del decimo anniversario del massacro di circa ottomila adulti e ragazzi a Srebrenica, Amnesty International torna a chiedere giustizia, con le parole del coordinatore per i Balcani Paolo Pignocchi.
“Sebbene alcuni responsabili siano stati processati dal Tribunale per la ex Jugoslavia, e negli ultimi mesi diversi indiziati si siano consegnati volontariamente, dieci imputati tra cui l’ex leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic e gli ex generali Ratko Mladic e Zdravko Tolimir sono ancora liberi -ricorda Pignocchi- e la mancanza di cooperazione delle autorità serbo-bosniache con il Tribunale internazionale continua a costituire un ostacolo fondamentale per la giustizia, anche se nel marzo scorso, per la prima volta, è stato trasmesso alla procura di Stato un elenco di 892 persone ritenute coinvolte nel massacro, tuttora in servizio nelle istituzioni”.
Il 10 luglio 1995, le forze serbo-bosniache avanzarono verso l’enclave di Srebrenica, nella zona di sicurezza istituita dalle Nazioni Unite in cui avevano trovato riparo decine di migliaia di musulmani di Bosnia, e, dopo la caduta della città nelle loro mani, migliaia di adulti e ragazzi vennero separati dal resto della popolazione ed assassinati. Questa uccisione sistematica e organizzata di circa ottomila uomini è una delle più grandi atrocità commesse in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale ed è stata riconosciuta come atto di genocidio dal Tribunale penale internazionale per i crimini della ex-Jugoslavia.