Lui, il protagonista di questa storia si chiama Alberto e oggi è dottore in architettura con 110 e lode. Un traguardo davvero speciale per un ragazzo alto, con gli occhi chiari e la sindrome di Asperger, una malattia rara, non invalidante nelle capacità intellettive (come l’autismo) ma che manifesta comportamenti e deficit nelle capacità sociali e nella comunicazione di chi ne è affetto. Alberto ha seguito il suo percorso di studi, con impegno e tenacia, all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, a cui Sara D. Katarivas, mamma del neo-architetto, ha indirizzato una lettera per esprimere a tutti, docenti e personale, la sua «immensa gratitudine … per aver dato fin dal primo momento, sempre piena comprensione, disponibilità, pazienza ed aiuto a uno studente un po’ diverso … avete riempito l’anima di una mamma con gioia». Un lungo applauso dei professori, del personale universitario e degli altri presenti in aula magna, ha segnato la proclamazione a dottore di Alberto D’Angelo, con la tesi “Il parco della montagna del Taco a Tenerife”.
«Mio figlio – prosegue nella lettera mamma Sara – come sempre, non ha pensato che si doveva vestire elegante per l’esame di laurea, farsi la barba e tagliarsi i capelli. Se non ci fosse stato qualcuno a dirglielo, sarebbe andato vestito della prima cosa che trovava – pantaloncini corti, per esempio. E come per ogni esame: senza la “spinta” avrebbe ritardato enormemente o non si sarebbe presentato». E di “grande umanità” la mamma di Alberto ha definito la sorpresa riservata al figlio il giorno della laurea, quando la Facoltà di Architettura gli ha consegnato la medaglia e la pergamena dell’Università “Mediterranea”. Tra le righe della lettera che Sara ha indirizzato all’Ateneo calabrese emerge, come una sottile filigrana, un’esortazione rivolta ai genitori che quotidianamente devono lottare per fare integrare i loro figli nella società.
«Per riuscire a portare verso la nostra “normalità” un figlio, – scrive mamma Sara – dobbiamo dargli tutto il nostro amore, stargli sempre accanto, seguirlo in ogni momento, insegnargli in continuazione, ripetendo – se necessario – in eterno, fino a quando alla fine percepisce o impara».