21 febbraio
Piero nasce a Ravenna nel 1007. Perse i genitori quando era ancora fanciullo e venne educato prima dal fratello Rodelinda che lo fece guardiano di porci e poi dal fratello Damiano, più benevolo, che lo avviò agli studi a Faenza e poi a Parma e dal quale, pe riconoscenza, prese il secondo nome. Fece numerosi progressi tanto da divenire insegnante ed esegeta. Un giorno incontrò due eremiti camaldolesi ai quali confidò il desiderio di vivere in solitudine: venne accolto nel loro monastero di Fonte Avellana in diocesi di Gubbio, divenendone presto abate. Era un innamorato della vita claustrale e ne divenne il teorico. Infatti, voleva che i monaci non uscissero dall’eremo, praticassero la povertà e non si occupassero di negozi secolari. Inoltre, dovevano lavorare e digiunare e mortificarsi in proporzione ai loro peccati, poiché fu un grande sostenitore delle flagellazioni corporali. Quando le comodità lo attiravano, andava subito a tuffarsi nell’acqua gelida rimanendoci fino a quando il corpo non diventava ghiacciato.

Fondò diversi eremi dai quali uscirono numerosi santi i quali aiutarono a risollevare la Chiesa in un periodo in cui simonia e immoralità la facevano da padrone nel clero. L’imperatore Enrico III, chiamò il Santo come consigliere di papa Clemente II ma, il Damiani si limitò a scrivere al pontefice del disordine che imperava nelle chiese della sua provincia a causa del fasto e dei crimini di cui la stessa chiesa si macchiava. Sotto il pontificato di San Leone IX, il Santo scrisse il “Liber Gratissimus” nel quale parla di vescovi ordinati dai simoniaci e il “Liber Gomorrhianus” nel quale frusta la corruzione del clero. Sono così forti le sue rimostranze che il Papa pensò che le parole furono frutto della sua fantasia. Successivamente papa Stefano IX lo creò cardinale e vescovo di Ostia. Dopo la morte di papa Stefano IX, con l’elezione del nuovo pontefice si era ritornati ad un clima di caos e disordine. Il Damiani si adoperò in ogni modo affinché venisse fatto rispettare il decreto di Leone IX contro i chierici simoniaci e incontinenti, che avvilivano il sacerdozio e scandalizzavano i fedeli. Con il pontificato di Niccolò II del 1509 il Santo potè continuare la sua missione sia nella chiesa di Milano che nelle altre della Lombardia.
Probabilmente in quello stesso anno sotto consiglio di Ildebrando e Pier Damiani, Niccolò emanò il decreto attraverso il quale la scelta del papa era esclusivamente affidata al collegio dei cardinali. L’ultima parola spettava ai cardinali-vescovi, mentre l’imperatore conservava soltanto il diritto di conferma e il popolo quello d’approvazione. Pietro, intanto, continuava a supplicare papa Alessandro II affinché gli concedesse il ritorno nella pace solitaria del monastero. Dopo tanto tempo, ottenne ciò che desiderava. A Fonte Avellana si rinchiuse in una cella: digiunava, si sottoponeva a forti discipline, meditava e cantava salmi. Il suo pane lo mangiava nel piatto dove lavava i piedi ai poveri. Dormiva per terra sopra dei giunchi. Da ogni parte giungevano persone per avere consigli da lui. Lo stesso Papa gli chiese di scriverlo più spesso e il Santo non esitava a scrivere ciò che pensava riguardo agli anatemi continui e al divieto che avevano i chierici nel rimproverare gli eccessi dei loro vescovi. Nel 1069 fu inviato a Magonza per distogliere Enrico IV dal divorzio con Berta di Torino, e nel 1071 a Montecassino per la consacrazione della chiesa.
Lascò al mondo cristiano molti dotti libri. Morì a Faenza il 22 febbraio del 1072 nel cui duomo sono custodite le sue spoglie. Venne subito venerato come santo e Leone XII il 1 ottobre del 1828 l’annoverò tra i Dottori della Chiesa. Sul suo sepolcro fece scrivere: “Io fui ciò che tu sei; tu sarai ciò che io sono. Di grazia, ricordati di me. Guarda con pietà le ceneri di Pietro. Prega, piangi e ripeti: “Signore, risparmialo”!