Intimidazioni, arresti e condanne: la notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989 il governo cinese inviò l’esercito per soffocare nel sangue una delle più importanti manifestazioni di popolo del nostro tempo. Sulla piazza Tianamnen di Pechino piombarono i carri armati, uccidendo centinaia di persone, soprattutto studenti, che manifestavano chiedendo libertà, diritti, democrazia.
Nei giorni successivi, decine di migliaia di persone vennero arrestate in tutta la Cina.
“A quindici anni di distanza -denuncia Amnesty International– non c’è mai stata una pubblica inchiesta sui delitti di Tiananmen, e sono numerose le persone ancora in carcere per aver preso parte alle proteste: almeno 50. Una cifra sicuramente inferiore a quella reale, che le autorità si ostinano a non rendere nota.
Torniamo a chiedere al governo di Pechino di avviare un’inchiesta indipendente sull’uccisione di studenti e manifestanti inermi, processare i responsabili e rilasciare tutte le persone condannate per i fatti del 1989 al termine di giudizi iniqui”.
Nel marzo scorso tre donne (Ding Zilin, Zhang Xianling e Huang Jinping) sono state messe in carcere perché desistessero dall’intenzione di commemorare l’anniversario.
Fanno parte delle ‘Madri di Tiananmen’, un gruppo di parenti delle vittime che si batte per ottenere giustizia. Il figlio di Ding Zilin, Jiang Jielian, aveva 17 anni quando in quelle tragiche ore, sceso in piazza, venne colpito alle spalle e ucciso mentre manifestava pacificamente.
Dopo i fatti di Tiananmen, l’Unione Europea ha stabilito nei riguardi della Cina l’embargo sulle armi, che tuttora perdura.