Sergio Paronetto ha scritto per le Paoline, un libro dedicato a don Tonino Bello e intitolato “Tonino Bello maestro di non violenza. Pedagogia, politica, cittadinanza attiva e vita cristina”.
Perchè don Tonino è stato maestro di non violenza?
Per lui la pace è (ne parlo al presente perché è presente tra noi) la sua storia d’amore vissuta con passione e slancio. E’ cammino di fede, teologia trinitaria, cittadinanza attiva, pedagogia, economia, politica, profezia. Don Tonino racconta la nonviolenza come insieme di storie e di esperienze con lo stile di un moderno padre della Chiesa del Concilio che sta maturando a fatica una teologia-prassi di nonviolenza come sostanza del Vangelo. Per lui la pace è azione. Dice: “non siamo molto abituati a legare il termine pace a concetti dinamici. Raramente sentiamo dire: ‘Quell’uomo si affatica in pace’, ‘lotta in pace’, ‘strappa la vita con i denti in pace’. Più consuete nel nostro linguaggio sono, invece, le espressioni: ‘Sta seduto in pace’, ‘sta leggendo in pace’, ‘riposa in pace’. Occorre, forse, una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un ‘dato’, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno”.
Quali sono stati i maestri a cui il vescovo Bello di è ispirato?
Don Tonino chiama timonieri della “nave scuola della pace” tante persone. In primo luogo, Gesù Cristo, Maria, Francesco d’Assisi. Assieme a loro, Gandhi e Luther King, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II (definito “apostolo della nonviolenza), Carretto e Charles de Foucauld, Mazzolari e Lanza del Vasto, Milani e La Pira, Balducci e Turoldo, Capitini e Dolci, Goss e Langer, il teologo Bonhoeffer, i vescovi Camara, Romero, Martini, Mincuzzi, Bettazzi (maestro-discepolo), molti laici, i giovani e tanti volti femminili di pace conosciuti in Sud America e in Africa. Tra i suoi interlocutori ci sono anche personaggi biblici con cui immagina di dialogare.
Egli aveva il “tormento della pace”: come possiamo leggere questa affermazione?
La pace per lui non è la semplice tranquillità, ma impegno contro le logiche di morte e frutto di giustizia: “La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale ‘vita pacifica’. Non elide i contrasti. Espone al rischio di ingenerosi ostracismi. Postula la radicale disponibilità a ‘perdere la pace’ per poterla raggiungere…Quando arriva ai primi tornanti del Calvario, non cerca deviazioni di comodo, ma vi si inerpica fino alla croce. Sì, la pace, prima che traguardo, è cammino. E per giunta, un cammino in salita”.! Dopo il viaggio a Sarajevo (dicembre 1992) pochi mesi prima di morire (aprile 1993) si chiede: “Attecchirà davvero la semente della nonviolenza? Sarà davvero questa la strategia di domani? E’ possibile cambiare il mondo col gesto semplice dei disarmati?”. Sono domande sofferte che rendono credibile e verace la sua testimonianza. Non è ingenuo o vagamente pacifista, è un sognatore con gli occhi aperti e con i piedi per terra.
“Occorre diventare per ciascuno madre” disse una volta: in quale occasione?
Davanti allo sbarco di albanesi sulle coste della Puglia nell’agosto 1991. Nella turba indistinta dice che ha cercato di vedere i volti e, in trasparenza, i volti delle loro madri gravide sul molo, trepidanti, coi ventri inattesa, accarezzati. “Quei giovani vanno amati e rispettati uno per uno- scrive- come se di ciascuno fossimo madre”. Don Tonino è molto sensibile all’azione nonviolenta delle donne, capaci, in vari modi, di generare la vita. Pace, infatti, è donazione, novità di vita. In questo pensa come Gandhi per il quale “la donna è la personificazione della nonviolenza, che significa amore infinito capace di assumere il dolore. A lei è dato insegnare la pace in un mondo lacerato”.
Come don Tonino ha incrociato il cammino di Pax Christi?
Sia come parroco di Tricase e poi come vescovo di Molfetta (dal 1982), don Tonino mette la pace al centro della sua attenzione. Interviene sulla militarizzazione della Puglia, sull’istallazione dei missili a Comiso, sul commercio delle armi, sull’obiezione di coscienza al servizio militare e alle spese militari, sulla fame nel mondo; scrive sul giornale diocesano «Luce e vita»; partecipa a convegni e veglie; firma appelli; marcia lungo le strade della Puglia e dell’Italia perché “non si rovesci il sogno di Isaia”. Nel 1985 diventa quasi naturale per lui accettare la presidenza di Pax Christi su indicazione del movimento (mons. Bettazzi), del vescovo di Bari mons. Magrassi e del card. Ballestrero, presidente della Conferenza episcopale.
SE OGGI FOSSE VIVO CHE COSA CI DIREBBE E COME?
Direbbe che la pace è un’arte che si impara, che occorre darsi da fare davanti ai drammi di molti popoli, ai terribili conflitti in corso, alla morte per fame e malattie, alle sofferenze quotidiane. Direbbe ai giovani ora come allora : “Il mondo ha bisogno di voi per cambiare, per ribaltare la logica corrente che è logica di violenza, di guerra, di dominio, di sopraffazione. Il mondo ha bisogno di giovani critici. Vedete! Gesù Cristo ha disarmato per sempre gli eserciti quando ha detto: ‘Rimetti la spada nel fodero, perché chi di spada ferisce, di spada perisce’. Ma noi cristiani non siamo stati capaci di fare entrare nelle coscienze questo insegnamento di Gesù. Diventate voi la coscienza critica del mondo. Diventate sovversivi…come San Francesco d’Assisi che ai soldati schierati per le crociate sconsigliava di partire. Il cristiano autentico va controcorrente non per posa ma perché sa che il vangelo non è omologabile alla mentalità corrente”(da “Senza misura”).