Padre Pio Capuano, giovedì scorso, durante per la rubrica settimanale "Sotto la Croce si impara ad amare" in onda ogni giovedì alle 8.45 e in replica alle 14 e alle 22, ha scelto il tema: "San Pio, modello di carità". La carità, il fondamento e vertice della vita cristiana, perché lo stesso Dio è amore: “Dio è amore” (1 Gv 4, 16). Amore unico, con due oggetti inscindibili: Dio e il prossimo, altrimenti non è amore cristiano. L’amore ai fratelli è la prova del nostro amore a Dio, come dice Cristo stesso: “Qualunque cosa avete fatto al piú piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).
Quale è scopo della carità?
Arrivare a tutti, fino agli immeritevoli, ai nemici, perché Dio ci ama, anche quando siamo nel peccato. Nell’amore Dio-uomo, uomo-Dio, bisogna tener presente soprattutto due cose. In primo luogo è importante che amiamo Dio, ma è ancora piú importante che Dio ami noi. Il nostro amore, infatti, verso Dio è secondario, quello di Dio per noi viene prima, perché “Dio per primo ci ha amati” (1 Gv 4, 19), “mentre noi eravamo ancora peccatori” (Rom 5, 8). In secondo luogo: ricordare che Gesú la notte, prima di morire, pregò il Padre per i suoi: “Hai amato loro come hai amato me…, perché l’amore con cui mi ami sia in loro” (Gv 17, 23.26). Sembra incredibile che Dio ci ami, come ama suo Figlio. Eppure è precisamente quello che dice la scrittura. Noi il nostro amore lo possiamo graduare. Amiamo una persona al 90%, al 50%, al 20%. Dio, al contrario, non ama che interamente tutti al 100%. Se pensiamo al Signore come a un essere, che può suddividere il suo amore, significa che abbiamo effettivamente in mente non lui, ma noi stessi. Solo, se riusciamo a capire che il suo amore non è un’attività, ma il suo stesso essere, solo allora non sarà difficile capire che è inconcepibile per Dio dare il 100% al Figlio e il 70% a noi. Se lo facesse non sarebbe piú Dio. Quali le conseguenze? Se Dio mi ama, non posso io pure non amarmi. Vorrò, forse, essere piú esigente di Dio? Se Dio ama al 100% il mio fratello, non posso comportarmi diversamente. Ciò ci viene confermato anche dall’apostolo dell’amore, s. Giovanni, nella sua prima lettera: “Se Dio ci ha amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1 Gv 4, 11). Come amarci? Amare il prossimo come noi stessi. Amare il prossimo come amiamo Gesú. Nel prossimo è presente Gesú, perciò, se vogliamo amare lui, lo dobbiamo amare anche nel nostro fratello. Amare il prossimo come l’ama Gesú. Nell’ultima cena Gesú stesso ce l’ha detto: “Questo è il comandamento mio, che vi amiate scambievolmente come io ho amato voi” (Gv 15, 12). Difficile? Con Cristo in noi, tutto è possibile!
Come Padre Pio ha vissuto questa virtú teologale?
Dal “Decreto sulle virtú” leggiamo: “L’amore di Dio riempiva p. Pio, soddisfacendo ogni sua attesa; la carità era il principio ispiratore della sua giornata: Dio da amare e da fare amare. Sua particolare preoccupazione: crescere e far crescere nella carità. Questo era il segreto della sua vita sacrificata, che trascorreva nella confessione e nella direzione delle anime. Espresse il massimo della sua carità verso il prossimo, accogliendo, per oltre 50 anni, moltissime persone, che accorrevano al suo sacro ministero, al suo consiglio e al suo conforto. Era quasi un assedio d’amore: lo cercavano in chiesa, nella sacrestia e nel convento. Ed egli donava a tutti il suo amore, facendo rinascere la fede, distribuendo grazia, portando luce e conforto evangelico. Nei poveri, nei sofferenti e negli ammalati vedeva l’immagine di Cristo e si donava specialmente per loro”. Amore verso Dio: sulla carità bellissima è l’analogia portata da p. Pio nei suoi scritti: “Come le perle sono tenute insieme dal filo, cosí le virtú dalla carità. E come, se si rompe il filo, le perle cadono, cosí se viene meno la carità, le virtú si disperdono” (Consigli-Esortazioni di P. Pio da Pietrelcina, Foggia 1965, p. 19), perché, come dice s. Paolo, la carità è “il vincolo di perfezione” (Col 3, 14). Le due dimensioni, verticale e orizzontale, del “piú grande e primo dei comandamenti” (Mt 22, 38), sono ampiamente presenti nella vita di p. Pio: “Il tutto si compendia in questo: sono divorato dall’amore di Dio e del prossimo” (Ep. I, 1247 = a p. Ben, 20 nov. 1921). L’amore, come virtú teologale, parte da Dio stesso, che ha bisogno di amare, di donarsi e trova in Padre Pio l’amico, che non viene mai meno, anche se non si sente degno di riceverlo. Scrivendo a p. Benedetto, il 12 gen 1919, p. Pio confida: “Egli si va riversando tutto nel piccolo vaso di questa creatura, la quale soffre un martirio indicibile e si sente incapace a portare il peso di quest’amore immenso. Ahimè! Chi verrà a sollevarmi? Come farò a portare l’infinito nel piccolo mio cuore? Come farò a restringerlo sempre piú nell’angusta cella dell’anima mia?” (Ep. I, 1112). II) All’altro confessore, p. Agostino, il 21 marzo 1912, confessa che si è donato tutto a Dio: “Tu sai, o Signore, che io ti amo. Ma amore nel cuore non ne ho piú. Tu sai, o Signore, che a te l’ho donato. Se vuoi piú amore, prendi questo mio cuore e riempilo tutto del tuo amore e poi comandami pure di amarti, che non mi rifiuterò; anzi te ne prego di farlo, io lo desidero” (Ep. I, 267). Padre Pio ha amato Dio con tutta la mente, cioè senza mai dimenticarlo. Egli ha amato Dio nel prossimo e il prossimo in Dio. Il giorno, quando non pregava, era intento ad ascoltare le necessità dei fratelli, per presentarle nel silenzio della notte al cuore del Signore. Egli vive questa virtú teologale non solo teoricamente, ma anche e soprattutto concretamente, tanto da esser disposto a barattare la propria salvezza per quella dei suoi fratelli. Solo due scritti. A padre Benedetto, il 20 novembre 1921: “Per i fratelli poi? Ahimè! Quante volte, per non dire sempre, mi tocca dire a Dio giudice, con Mosè: o perdona a questo popolo o cancellami dal libro della vita” (Ep. I, 1247). Questo concetto, anche se con parole diverse, padre Pio, l’aveva già espresso, il 25 aprile 1914, scrivendo a Raffaelina Cerase: “Mi cancelli (il Signore) pure dal libro della vita, purché salvi i miei fratelli e i miei compagni d’esilio e non mi privi della sua carità e della sua grazia, dalla quale niente mai potrà separarmi” (Ep. II, 81). Padre Pio, quindi, è arrivato a offrire a Dio, in cambio della salvezza del prossimo, la propria, perché, come scrive p. Agostino, nel suo “Diario” p. 87, il giorno 16 aprile 1935,: “Vive di pura fede, è sostenuto dalla speranza, sente la fiamma della carità verso Dio e verso le anime”. Egli non solo vive di carità, ma vuole che anche i suoi figli spirituali crescano quotidianamente in essa, per acquistare il paradiso, perciò li esorta: “Crescete sempre e mai stancatevi di avanzare nella regina di tutte le virtú, la carità cristiana. Considerate che non è mai troppo il crescere in questa bellissima virtú. Abbiatela cara assai, piú ancora della pupilla dei vostri occhi, poiché essa è propriamente la piú cara al nostro divin Maestro, che suole chiamarla «mio precetto» (Gv 5, 12)” (Ep. II, 383-384 = Cerase, 30 mar 1915).
Puoi darci qualche suggerimento su come vivere la carità?
Nel vivere questa virtú bisogna tener presente sempre questa triade: Dio, io e il fratello. L’amore, infatti, è sempre a tre; chiama in causa sempre queste tre presenze. Questo concetto teologico può esser reso piú plasticamente, attraverso la “figura geometrica del triangolo”. Alla sua sommità è Dio, da cui fluisce ogni dono naturale e soprannaturale. Alla base, invece, ci siamo io e il fratello. Comincia, cosí, tra i tre l’avventura umano-divina. È un’avventura umana, perché coinvolge me e il mio fratello. È un’avventura divina, perché è chiamato in causa anche Dio. Questo prezioso patrimonio-matrimonio di valori umano-divini incomincia a circolare, scambiandoci vicendevolmente la grazia, il bene, l’amore, il perdono… Da qui si attinge la capacità di amare il fratello, la forza di sacrificarsi per lui, per comprenderlo, scusarlo, compatirlo, perdonarlo, aiutarlo. Questa carità ha soprattutto queste tre caratteristiche. La prima è che la carità è una virtú, che non deve esser vissuta “una tantum”, ma quotidianamente. La seconda caratteristica è che la carità non deve essere “filantropia”, cioè basata sull’amicizia per l’uomo, ma sulla parola di Dio, che ci indica Cristo stesso presente nei bisognosi: “Tutto quello che avete fatto ad uno dei miei fratelli piú piccoli, nel mio nome, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). La terza caratteristica è che la carità non è un “optional”, ma un nostro preciso dovere.