Il b. Giovanni Paolo II, nel messaggio per la XII giornata mondiale per il malato, che ebbe luogo l’11 febbraio 2004 a Lourdes, scrisse: “Dal paradosso della croce scaturisce la risposta ai nostri piú inquietanti interrogativi. Cristo soffre per noi: egli prende su di sé la sofferenza di tutti e la redime. Cristo soffre con noi, dandoci la possibilità di condividere con lui i nostri patimenti. Unita a quella di Cristo, l’ultima sofferenza diventa mezzo di salvezza. Ecco perché il credente può dire con s. Paolo: «Perciò sono lieto delle sofferenze, che sopporto per voi e completo, nella mia carne, quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1, 24). Il dolore, accolto con fede, diventa la porta per entrare nel mistero della sofferenza redentrice del Signore. Una sofferenza, che non toglie piú la pace e la felicità, perché è illuminata dal fulgore della risurrezione”. Tutti sono desiderosi di partecipare alla felicità del regno di Dio, ma, purtroppo, pochi sono disposti a percorrere la via della croce, con, in e per Gesú. Il filosofo francese Blaise Pascal scriveva: “Cristo è entrato nel mondo con la croce!”. Egli l’ha piantata nella storia del mondo non solo, per darci un’indicazione di vita, ma anche come una tavola di salvezza. Allora, se la si accoglie con amore, l’uomo acquista la pace interiore. Invece, la croce, per molti cristiani è e resta ancora “scandalo” e crea senso di colpa a chi la porta! La croce ha due facce: l’apparente sconfitta e la vittoria, il Crocifisso e il Risorto. Essa mostra tutta la malvagità e la miseria dell’uomo, che non esita a condannare il Figlio innocente di Dio, ma, nello stesso tempo, dimostra anche tutta la misericordia di Dio e la potenza della sua glorificazione verso l’Agnello immolato. Nella croce è sintetizzata l’ultima parola sull’umanità: non è il peccato, ma l’amore. Sulla croce va cercata la vera ragione della speranza cristiana, la lieta notizia, che dà senso e spessore alla nostra esistenza, nonostante i fallimenti. La croce, per essere efficace, deve condurre alla nostra conversione. Le folle, scrive s. Luca, narrando la passione di Gesú, “si battevano il petto” (Lc 23, 48). L’offerta di se stesso, attraverso la morte in croce, aveva trasformato la loro vita. Erano state conquistate dall’amore inaudito del Cristo. La sua croce e la sua risurrezione ha donato a noi la figliolanza divina. Nella croce si rivela l’amore sia del Padre, che del Figlio per noi. Il Padre non risparmia il proprio Figlio unigenito, ma lo “consegna” per noi. Il Figlio dimostra il suo amore, consegnandosi liberamente nelle mani dei peccatori, per liberare l’uomo dalla schiavitú di satana. Gesú morí, subendo il supplizio della crocifissione, perciò la croce cristiana si identifica col Crocifisso. Essa esprime la vittoria di Cristo sulla morte, mediante la risurrezione. Noi cristiani, baciando e venerando la croce, baciamo e adoriamo Colui che è morto in croce per la nostra salvezza ed è risorto dai morti, per far risorgere anche noi alla vita immortale. La croce è, quindi, il segno di riconoscimento della fede cristiana. Apprezzare la croce è apprezzare il Signore Gesú, deriderla, invece, è deridere Gesú redentore e rifiutare la sua salvezza. Il diavolo, nemico giurato dell’uomo, sconfitto dalla croce, si adopera per deriderla e farla deridere, nel tentativo di renderla inefficace per noi. Ecco, allora, la necessità di esporla nelle nostre abitazioni, nei luoghi pubblici, prenderla tra le nostre mani, nei momenti difficili e decisivi, ma soprattutto metterla nel cuore, vivendone gli insegnamenti, altrimenti diventa un talismano.
1ª domanda: “Come p. Pio ha vissuto la sua croce?”.
Dal “Decreto sulle virtú” leggiamo: “P. Pio da Pietrelcina, come l’apostolo Paolo, al vertice della sua vita e del suo apostolato pose la croce del suo Signore come sua forza, sua sapienza e sua gloria. Infiammato d’amore per Gesú Cristo, si conformò a lui nell’immolazione di sé per la salvezza del mondo. Nella sequela e nell’imitazione di Cristo crocifisso fu cosí generoso e perfetto che avrebbe potuto dire: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono piú io che vivo, ma Cristo vive in me»” (Gal 2, 19). P Pio la croce non la disgiunge mai dall’amore: “So benissimo che la croce è il pegno dell’amore, la croce è caparra di perdono, e l’amore che non è alimentato, nutrito dalla croce, non è vero amore; esso si riduce a fuoco di paglia” (Ep. I, 571 ap. Ag. 21-4-‘15). Perché questa loro intima connessione? Perché l’amore è donazione e ogni dono comporta sempre che qualcuno paghi. Tutta la vita di p. Pio fu vissuta sotto il segno della croce. Il 16 giugno 2002, il b. Giovanni Paolo II, nell’omelia della canonizzazione, non ha forse posto il fondamento della santità di p. Pio, sull’amore alla croce? Egli disse: “Non è forse proprio il «vanto della croce» ciò che maggiormente risplende in p. Pio? … Senza questo costante riferimento alla croce non si comprende la sua santità”. P. Pio, già, il 1° febbraio 1913, confermava ciò con chiarezza: “Sono stato fatto degno di patire con Gesú e come Gesú” (Ep. I, 336). Questo è stato da lui riconfermato anche nel cinquantesimo della sua ordinazione sacerdotale: “Non desidero altro che amare, soffrire altri cinquant’anni per i fratelli, bruciare per tutti con te, Signore. Con te sulla croce!”. Nel contesto dell’epoca contemporanea, dominata dal voler far da soli, Dio ci ha fatto dono di un uomo “infuocato”, “bruciato”, “divorato”, di un figlio di s. Francesco d’Assisi, che ha accolto l’esperienza umana e cristiana, come una missione alla donazione di sé, alla condivisione alla croce di Cristo e dei fratelli e alla compassione: “Che brutta cosa è vivere di cuore! Bisogna morire in tutti i momenti di una morte, che non fa morire, se non per vivere morendo e morendo vivere” (Ep. I, 1247-1248 a p. Ben 20-11-‘21). La croce, per p. Pio, è un privilegio concesso solo ad alcune anime predilette, quelle che sono piú care a lui. Scrive questo concetto, riportando le parole, riferitegli da Gesú, in una visione: “Sotto la croce si impara ad amare e io non la dò a tutti, ma solo alle anime che mi sono piú care” (Ep. I, 339, a p. Ag. 13-2-‘13). Dopo queste confortanti e rassicuranti parole, p. Pio si donò ancora piú volentieri come “cireneo” per i suoi fratelli. Egli si offriva come loro cireneo, prendendo su di sé il dolore, ma lasciando a essi tutto il merito. Si dichiarava per i fratelli “il povero cireneo” (Ep. III, 188), “il pietoso cireneo” (Ep. III, 770), “cireneo, che porta la croce per tutti” (Ep. III, 779). Questo perché la sua vita, di autentico crocifisso, gli insegnò a diventare il cireneo di tutti i crocifissi: “Sarò a voi dappresso collo spirito; farò miei tutti i vostri dolori e li offrirò tutti in olocausto al Signore per voi” (Ep. II, 510, 8-10-‘15). La croce di p. Pio non fu solo la sua sofferenza personale, come le persecuzioni e incomprensioni, ma anche il cumulo dei peccati dei fratelli, che egli sentiva sulle sue spalle, come suoi. Egli si è disteso sulla croce, l’ha coperta tutta di se stesso, cosí che neppure un lembo di essa rimanesse inutilizzato. La sua sospensione su di essa è servita a ricordargli continuamente la sua “missione a corredimere” (Ep. I, 1068). Senza questa prospettiva della croce, non si può “leggere” la vita del “cireneo del Gargano”, perché Gesú gli aveva chiesto di salire con lui sull’altare dell’immolazione, sulla croce, per unire il cielo con la terra, la vita ascetica con quella sociale. La croce era la forza, attraverso la quale, p. Pio passava dalla contemplazione all’azione e viceversa. Egli era cosciente di questa sua vocazione, perciò, anche in occasione del suo venticinquesimo anniversario di ordinazione sacerdotale, scrisse: “O Gesú, mia vittima e mio amore, rendimi altare per la tua croce, calice d’oro per il tuo sangue, olocausto, amore, preghiera”.
2ª domanda: “Come vivere noi la croce?”.
P. Pio si è mostrato ai suoi figli sulla croce, affinché potessero imparare anche loro a offrirsi a Dio. Stimolava e incoraggiava le anime da lui dirette a perseverare, lungo la via dolorosa delle prove, inviate per la propria e altrui purificazione: “Rammentiamoci che la sorte delle anime elette è il patire; è la sofferenza sopportata cristianamente condizione a cui Dio, autore di ogni grazia e di ogni dono conducente a salute, ha stabilito di darci la gloria… Le tribolazioni, le croci sono state sempre l’eredità e la porzione delle anime elette, per cui quando a lui piacerà metterci in croce, ringraziamolo e teniamoci fortunati di tanto onore a noi fatto” (Ep. II, 248-249, 26-11-14). Un proverbio dice: “O di pioppo o di noce, ognuno porta la sua croce”. Di fronte alla croce il nostro atteggiamento, spesso, non è quello cristiano, ma di rifiuto o di paura: di rifiuto, perché la croce è contraria ai nostri progetti o di paura, perché la chiamata di Dio verso essa è troppo impegnativa e scomoda o, infine, facciamo finta di non sentire. La croce è un mezzo, per guardare a Gesú, per imparare a non disgiungere la salvezza dal Salvatore crocifisso e per aprire gli occhi verso coloro che soffrono. Chi soffre collabora per la salvezza dell’umanità. La croce è una gemma, è un diamante senza tempo, davanti a Dio. Il “cireneo del Gargano” ci insegnava che la sofferenza è come un coltello, come un bisturi, che serve per operare e perfezionare le anime, mentre per i non credenti è una lama tagliente, usata per sopprimere. Non è possibile portarla a fronte alta e con passo spedito, perché essa è la gran rivelatrice di quello che siamo: debolezza, fragilità e miseria. Gesú stesso la portò curvo, con la fronte giú, barcollante, fino a cadere sotto il suo peso, fino ad avere bisogno di chi l’aiutasse a portarla. Ma è arrivato fino alla fine, per annullare i nostri peccati e ridarci la “figliolanza divina”.
Conclusione: Per p. Pio, la croce è stato il pentagramma, sul quale ha scritto e fatto scrivere le sue e altrui piú belle canzoni d’amore per il Signore! Com’è la nostra? Ricordiamo che la croce passa, ma il suo frutto resta, perciò accettiamola e testimoniamola in nome del Signore. Quando sembra che tutto ricada sulle nostre spalle e stiamo per crollare, aggrappiamoci alla croce di Gesú, perché sul suo legno, anche in mezzo a un mare tempestoso, resteremo sempre a galla!
Barzelletta: Stavo predicando la settimana santa a Santa Croce di Magliano CB. Il giovedí santo dissi: “Domani, portate con voi le croci, piú pesanti, e deponetele ai piedi di Cristo morto, nell’incontro con la Madonna addolorata!”. Il giorno dopo, all’incontro di Cristo morto con la Madonna, vidi un uomo grosso e alto, che portava una persona in braccio: “Chi è? Che è ammalata?”. “No, padre, non è malata, però, questa è la mia piú grande croce: è mia moglie!”.
Padre Pio e sorella morte
Siamo nel mese, che la Chiesa ha dedicato, consacrato ai nostri cari defunti: il mese di novembre. Tutti, chi prima,...