All’epoca dell’alluvione del 1966 il grande dipinto (cm. 262×580 circa), era esposto nel Museo dell’Opera di Santa Croce, dove fu gravemente danneggiato dall’inondazione: la tavola rimase a lungo immersa nel fango fino al naturale defluire delle acque.
Riferisce l’Opificio: "Il colore fu immediatamente protetto da una velinatura a Paraloid B72 per evitare cadute di colore, funzione perfettamente espletata, ma che ebbe l’effetto di fissare sulla superficie anche lo sporco depositato. Nonostante che l’asciugatura fosse stata compiuta con molta gradualità nel deposito climatizzato della Limonaia di Palazzo Pitti, l’azione combinata delle deformazioni del supporto ligneo in pioppo e il forte degrado degli strati della preparazione causarono una pericolosissima perdita di coesione con il conseguente cedimento della adesione fra le tre parti costituenti: supporto – preparazione – colore.
La pellicola pittorica si era così progressivamente staccata ed alzata formando dei sollevamenti a cresta, connessi con l’andamento anatomico delle fibre del legno.
In generale, il danno provocato dall’alluvione sui dipinti su tavola non aveva altra soluzione in passato che quella estrema del così detto "trasporto del colore" che consisteva nella separazione della pellicola pittorica dal supporto.
All’epoca questo poteva avvenire tramite la protezione del colore e la demolizione dal tergo di tutti gli altri strati, per poi procedere alla costruzione di una nuova preparazione e di un nuovo supporto su cui far riaderire il colore risanato e reso planare. L’enorme difficoltà di applicare una tale difficilissima e rischiosissima tecnica ad un’opera di dimensioni tali quale l’“Ultima Cena” di Vasari fece sì che il dipinto, messo provvisoriamente in sicurezza in un deposito della Soprintendenza di Firenze, rimanesse a lungo senza alcun intervento di restauro. Fatto che aveva, d’altra parte, portato ad un aggravamento delle sue condizioni conservative, essendo rimasto il dipinto per quaranta anni pressoché abbandonato a se stesso”.
Dal 2005 iniziava il coinvolgimento dell’Opificio delle Pietre Dure nello studio della risoluzione del problema del restauro dell’Ultima Cena, difficilmente affrontabile con forze e competenze minori di quelle dell’Istituto. In quella data l’opera fu trasportata presso i Laboratori della Fortezza da Basso.
La prima fase del restauro, inteso nella sua globalità, come fase diagnostica, conoscitiva e progettuale, conclusasi nel dicembre del 2006, riguardava le ricerche, le prove sperimentali e i test necessari proprio per la definizione del progetto stesso.
La serie di indagini effettuate comprendeva un lavoro certosino e di grande tecnica alternativa ed enorme professionalità come la documentazione fotografica b/n, colore e digitale ad alta risoluzione del davanti e del retro di ciascun pezzo a luce normale e luce radente; il test di solubilità delle resine usate nel 1966; misurazione degli attuali livelli di UR del legno; test di rimozione del fango e dello sporco di deposito superficiale; test sul preconsolidamento della superficie pittorica; test sulla rimozione della velinatura del 1966 .
Il progetto del restauro dell’opera del Vasari, nella sua globalità, ma specificamente per il carattere innovativo per quanto concerne l’intervento strutturale di risanamento e quello sul supporto ligneo, è stato scelto dalla The Getty Foundation come caso esemplare all’interno del “Panel painting Initiative”.
Tante sono le opere d’arte che nel nostro Paese vengono continuamente danneggiate da cataclismi naturali come sta avvenendo oggi nel centro Italia a causa del terremoto.
Molti sono gli interrogativi che in questi giorni ci poniamo…
Cosa si sarebbe potuto fare per evitare tanti danni e perdite come quelli riguardanti la basilica di San Benedetto a Norcia intervenendo opportunamente almeno subito dopo le forti scosse del mese di agosto? A seguito degli ultimi eventi sismici cosa è possibile ancora recuperare del nostro patrimonio artistico così fortemente e lungamente colpito?
Il restauro, finalmente portato a termine, dell’opera di Vasari, considerato per decenni impossibile a realizzarsi, ed ora realtà grazie alle tante nuove tecniche moderne di alta specializzazione, ci lascia nel cuore molte speranze.
La grande “Ultima Cena” di Giorgio Vasari fu commissionata per il Convento delle Murate a Firenze e poi, in seguito alle soppressioni degli ordini religiosi in epoca napoleonica, trasportata a Santa Croce.