Cognento. Quartiere di Modena. In una vecchia scuola elementare, ora ristrutturata, le nonne modenesi insegnano ai ragazzi autistici a fare i tortellini. A “chiudere il tortellino” come dicono gli emiliani.
Si chiama “Il Tortellante” ed è un laboratorio socio-occupazionale fondato dall’associazione Aut Aut di Modena, che riunisce famiglie di ragazzi autistici.
«Tutto è nato dall’idea “geniale” di una nostra collaboratrice: insegnare ai ragazzi un mestiere». Erika Coppelli, presidente di Aut Aut e mamma del tortellante Filippo, racconta com’è nato il laboratorio. Indossa una camicia scura su cui è appuntato un fiore colorato, un rosso deciso, come il suo rossetto, come lei.
La collaboratrice in questione è Silvia Panini, mamma del tortellante Paolo e figlia di Emilia una delle nonne volontarie del laboratorio.
«I lavori che piacciono ai nostri ragazzi sono quelli in cui bisogna essere precisi e meticolosi e dove c’è un gesto sempre uguale che si ripete. Ed è così che mi è venuta in mente l’idea del tortellino». Spiega Silvia. Sorride un po’ emozionata. Nonostante questa storia l’abbia già raccontata tante volte. Indossa grembiule e cappellino e dispone sul tavolo del laboratorio farina e uova per preparare la sfoglia.
“L’essenziale è invisibile agli occhi…ma non per noi”. Si legge sul poster appeso nel corridoio, su cui sono esposte una serie di fotografie. In gita, in piscina, abbracciati, mentre fanno smorfie e intenti a “chiudere i tortellini”. Il “noi” della frase sono loro: i ragazzi con autismo che frequentano il laboratorio. Anzi sono loro il laboratorio.
Arrivano puntuali. Sono le quattro del pomeriggio. Non vedono l’ora di mettersi all’opera. «Di mettere le mani in pasta» dice una mamma, sorridendo. Appesi alla parete, in ordine e pronti a essere utilizzati, ci sono i grembiuli, color amaranto, dei tortellanti. Ciascuno prende il proprio.
Anche Filippo indossa il suo grembiule. «Bisogna mettere anche il cappellino». Dice Charlie che preferisce s’indossi con la visiera al contrario.
Il laboratorio è nato come esperimento per otto ragazzi. Dopo una settimana c’era già la fila dei genitori che chiedevano di poter inserire i loro figli nel progetto.
«Oggi contiamo 24 tortellanti – spiega Erika – e il laboratorio funziona due giorni alla settimana. L’obiettivo è fare in modo che nell’arco di un pomeriggio i ragazzi vedano il risultato del loro lavoro da poter condividere con la famiglia. Arrivano a casa e portano i tortellini da cucinare per cena. Così si sentono protagonisti».
Le mamme si danno da fare a stendere la pasta, un po’ con un mattarello, un po’, per renderla più sottile, con l’aiuto di una macchina a manovella. Sembra di essere a casa della nonna, prima del pranzo della domenica. C’è un bel clima. Si respira allegria, serenità.
Mentre le nonne stendono la pasta, il tortellante Achille fa la spola da un tavolo a un altro. Si assicura che ciascun ragazzo abbia i suoi quadrati di pasta da farcire. Ha un ciuffo biondo e ribelle che gli esce dal cappellino. Anche lui, come Charlie, ama indossarlo al contrario.
«Mi sento come in una stretta amicizia con loro – dice Achille – siamo come una famiglia. In una famiglia può accadere di tutto: come quando qualcuno si scorda qualcosa e l’altro glielo ricorda. Insomma qui funziona così: ognuno si prende cura dell’altro».
Nonna Emilia e nonna Mirella sono sedute al fianco ai ragazzi. Ci sono anche alcuni educatori dell’associazione a dare una mano. C’è chi prende il ripieno, lo trasforma in una piccola sfera e lo mette al centro del quadrato di pasta; c’è chi prende il tortellino e in un abile gesto lo chiude e gli dà la forma che conosciamo.
«Scoprire la manualità di Lorenzo è stata una sorpresa – rivela mamma Renata – dietro al gesto di fare il tortellino c’è una manualità che per noi è scontata e che invece per i ragazzi autistici è un obiettivo non da poco. Ed è anche diventato un buongustaio».
«Si parla tanto di problemi relazionali per l’autismo e invece qui si dimostra il contrario», dice Daniela mamma di Gabriele. «I ragazzi si relazionano moltissimo tra di loro. Vedo che sono loro stessi, parlano e mostrano delle abilità che ci sorprendiamo che abbiano».
Intanto Charlie va nel laboratorio. Deve rompere le uova per preparare altra pasta. Lo fa insieme a Filippo. Ne versano una decina nell’impastatrice che comincia a girare e ad amalgamare albumi e tuorli. Silvia indica a Charlie il pacco della farina. Preciso nel seguire le indicazioni che gli sono state date, dà piccoli colpetti sul pacco di farina, versandone un poco alla volta.
Grazie al Tortellante alcune nonne hanno trovato il giusto modo di rapportarsi ai loro nipoti, rendendosi utili e mettendo a disposizione quello che sanno fare. «Questo è un po’ il nostro piccolo miracolo» dice Silvia mentre nonna Mirella chiude i tortellini accanto a suo nipote Giordano.
“Perché Il Tortellante è una storia possibile? E’ possibile – dice Erika – perché abbiamo unito la disabilità con la terza età. Abbiamo messo insieme due mondi un po’ diversi tra di loro che faticavano quasi a conciliarsi. Le nonne, che sono il valore aggiunto di questo progetto, insegnano ai loro nipoti un’antica tradizione”.
Sul muro è appesa la foto dei tortellanti insieme allo chef stellato Massimo Bottura. Suo figlio Charlie è un tortellante e frequenta assiduamente il laboratorio. “È uno dei nostri maggiori sostenitori – afferma con una punta di orgoglio Silvia – e in più di un’occasione ha cucinato i nostri tortellini. Non abbiamo dubbi: sono veramente buoni”.
I ragazzi prendono i tortellini appena fatti. Sono pronti per essere cucinati a mangiati. Dalle loro espressioni si percepisce che sono soddisfatti. Il pomeriggio di produzione è terminato. Ora possono tornare a casa e gustarsi il frutto del loro lavoro.